Le cantonate sul referendum
Claudio Chiarle 07:00 Mercoledì 11 Giugno 2025
Alla fine il referendum sul jobs act lo ha vinto Matteo Renzi, colui che da segretario del Pd lo ha varato con il consenso del suo partito. Schlein e Landini volevano cancellare il passato e il passato è tornato presente, annichilendoli. Un referendum su quattro quesiti su cui bisogna domandarsi se i promotori vivono nella “narrazione” o nella realtà. Una scarsissima partecipazione abbinata a delle sconcertanti dichiarazioni post referendum in cui si confonde la partecipazione (astensione, che è una delle tre opzioni) ai referendum con la partecipazione (astensionismo, ormai del 40% mediamente) alle elezioni politiche.
Suggerisco di considerare che se nei referendum il voto è riferito agli aventi diritto (circa 45 mln), nelle politiche le percentuali dei partiti sono riferite ai votanti (mediamente al 60%, circa 25/26 mln). Quindi, per esempio, il Pd non è al 22% ma al 14% riferito agli aventi diritto, Fdi al 20%. Per la precisione. Inoltre un’alta percentuale di No al quinto quesito sulla cittadinanza per i migranti già in Italia da tempo, e che era l’unico referendum su un diritto civile, ci dicono che è necessaria una profonda riflessione nella sinistra. Se già emergono antisemitismi più o meno velati bisogna pensare che anche il tema integrazione (figurarsi gli arrivi) è un problema, dentro i 13 milioni che la segretaria Schlein considera la base dell'opposizione a Meloni. Piuttosto preoccuparsi della mancata unità del campo largo e della ormai sedimentazione del gruppo dirigente. Fratoianni è segretario di Sel prima e Avs poi dal 2009. 16 anni, nessun democristiano riuscì in tale continuità.
Temo che, leggendo le interviste e dichiarazioni del giorno dopo, la “narrazione” nel campo largo continui, e se la strategia era di essere consapevoli che il quorum non si raggiungeva ma bisognava contarsi con i voti della presidente del Consiglio, allora la destra governerà per ancora molto tempo ancora. Il segretario della Cgil Landini mi è parso più cauto, e da sindacalista ancorché movimentista è un po' più realista considerando il voto una sconfitta ma non, come sostiene, un pericolo per la democrazia data la scarsa partecipazione.
Se il campo largo e la Cgil non escono dalla “narrazione” di una loro visione e decidono, invece, di affrontare la realtà evitando altri errori macroscopici, allora una possibilità di costruire un’alternativa e riavvicinarsi ai lavoratori e alle lavoratrici esiste. Evitare l’ulteriore errore del salario minimo. Basterebbe parlare con un po' di imprenditori, non quelli amici, e riflettere sul perché non si riesce a firmare il contratto dei metalmeccanici per capire che la maggioranza che guida Federmeccanica e anche Confindustria non attendono altro che una legge sul salario minimo per destrutturare i contratti nazionali. Purtroppo però fino a quando anche la Cgil sceglie di usare i rinnovi contrattuali per le battaglie politiche, i contratti nazionali non si firmeranno. In questo c’è un asse di opposti interessi che si intersecano e non aiutano i lavoratori ma fa, alla fine, il gioco delle imprese.
Un’opinione largamente diffusa tra le imprese è, nel caso del salario minimo, di lasciare alla contrattazione tra le parti sociali, compreso il governo, la parte minima e poi gestire unilateralmente, anche in modo strutturato con un inquadramento professionale non contrattato, tutta la parte restante del salario; oppure in seconda ipotesi legare nella contrattazione aziendale la crescita professionale a obiettivi produttivi e/o di efficientamento. Insomma l’inquadramento professionale come parametro dei premi aziendali. Il Sindacato dovrebbe così ricontrattare ciò che aveva conquistato in anni di lotte essendo stato definito nel 1973 l’inquadramento unico professionale.
Per frenare questa deriva delle imprese meno interessate alle relazioni sindacali e desiderose di indebolire il sindacato nei luoghi di lavoro bisogna parlare di politiche industriali ed economiche, cosa che non sento molto dalle parti della segretaria del Pd. L’eredità di quei tredici milioni di Si sta nel raccogliere da parte della Cgil e sostenere da parte del Pd la proposta lanciata dal governatore della Banca d’Italia, Panetta, e già raccolta dal presidente di Confindustria Orsini per un “patto industriale” che rilanci la produttività in Italia, utile a fare ripartire i salari, e contro i contratti pirata, ridefinendo il tema della rappresentanza; un Patto che affronti la sicurezza sul lavoro e che rilanci la contrattazione con i sindacati maggiormente rappresentativi.
Allora solo così in una triangolazione concertativa si può inserire il tema del salario minimo definendone funzioni e ruolo. Tutti temi a cui la Cgil è sensibile, insieme a Cisl e Uil ma, vista la freddezza del sindacato guidato da Landini nel recepire la proposta confindustriale e la netta campagna politico referendaria, tocca alla stessa cambiare passo, ricostruire un’unità d’azione sindacale che è alla base di un sindacato dei lavoratori e non della politica. Tocca alla Uil fare da pontiere tra il movimentismo cigiellino e la docilità verso il governo cislino. Tocca alla Cisl uscire da quel torpore accondiscendente verso il governo. Quei tredici milioni, pochissimi per vincere un referendum, tanti per fare opposizione a vita perché nel primo sondaggio post referendum se aumentano Pd e M5s aumenta e più di tutti Fratelli d’Italia, bisogna farli diventare un’opportunità attraverso un’iniziativa sindacale unitaria e un programma economico e europeo riformista e del centrosinistra che non è il campo largo ma di tutte le opposizioni.
Se davvero il campo largo vuole rappresentare con una proposta concreta quei tredici milioni di elettori che esprimono disagio e richiesta di cambiamento bisogna guardare in faccia la realtà e la Cgil deve fare un passo concreto, non ideologico, perché la realtà è data dai fatti che pesano sulle e nelle tasche del mondo del lavoro a partire dalla tutela del salario e del potere d’acquisto.
Mentre il campo largo e la Cgil si avviavano, gioiosi della loro narrazione, verso la netta sconfitta sui referendum, i sindacati riformisti dei metalmeccanici della Cisl e Uil insieme a una ampia rappresentanza di sindacati autonomi hanno firmato il contratto aziendale di Stellantis per il biennio economico con un aumento del 6,6% (circa 135 euro nel biennio e una Una Tantum di 480 euro) per oltre 60mila addetti. Un aumento ben oltre l’inflazione attuale. Questa è la concretezza sindacale, questa è la realtà che vivono i lavoratori. Se la segretaria del Pd pensa con i referendum di essere più vicina ai lavoratori prende una grossa cantonata. Vicino ai lavoratori sono coloro che portano risultati concreti come i metalmeccanici di Cisl e Uil. Realtà contro finzione.