Adorazione, devozione tanto retrò. Acutis "bigotto", Repole defilato
Eusebio Episcopo 07:00 Domenica 22 Giugno 2025Mentre il teologo Grillo demolisce la spiritualità del giovane beato, il cardinale evita la processione del Corpus Domini e tace. A Torino la tradizione inciampa nella nuova liturgia del silenzio. Le parole di Leone XIV spengono il sorriso d'ordinanza dell'arcivescovo
Una delle feste cattoliche che la teologia progressista non riesce a digerire è quella del Corpus Domini. Si tenta così in tutti i modi di minimizzarla, cambiargli significato e oscurarne il fine per cui fu istituita: l'adorazione pubblica e solenne della presenza reale di Gesù Cristo nella SS. Eucarestia la cui ufficiatura, di una immensa ricchezza teologica, fu composta da San Tommaso d’Acquino, oggi sostituita dai canti più insignificanti e banali. Circa la processione – che è il cuore della festa – si cerca con tutte le scuse (trionfalismo) di evitarla e di spegnerla nella devozione dei fedeli. Il motivo sarebbe che il Corpo di Cristo deve essere mangiato e non adorato o esposto e meno che mai portato per le strade e questo in vista di «una sana e adulta educazione eucaristica».
A Torino quest’anno niente processione cittadina del Corpus Domini perché il cardinale Roberto Repole la presiederà a Susa che comunque, pur unita nella sua persona, rimane sempre una diocesi a sé. Anche il vescovo ausiliare ha ritenuto di soprassedere. Quantum potes tantum non aude. Possiamo però consolarci, perché dopo anni Leone XIV tornerà a celebrare personalmente la Messa del Corpus Domini a San Giovanni in Laterano e a guidare la processione verso la basilica di Santa Maria Maggiore.
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Se il clima è quello sopra descritto, non stupisce che il teologo Andrea Grillo, docente al Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo e a Santa Giustina di Padova, veneratissimo negli uffici liturgici diocesani subalpini, proprio alla vigilia della festa, abbia sferrato un duro attacco alla spiritualità eucaristica del beato Carlo Acutis che papa Prevost canonizzerà il 7 settembre prossimo insieme al beato Piergiorgio Frassati, accusando la sua devozione eucaristica di essere «vecchia, ossessiva, pesante, concentrata sull’inessenziale» e riducendo il povero Carlo – definito un «maleducato eucaristico» – a un bigotto isterico. Un attacco alla sua fede, non solo alla sua formazione, da parte di chi evita le genuflessioni, riduce il Corpo di Cristo a una metafora comunitaria, parla dell’Eucaristia senza mai pronunciare la parola “adorazione”.
Il beato Carlo aveva imparato ad amare ciò che la Chiesa insegna da secoli: Cristo è realmente presente sotto le specie del pane e del vino, questa fede che da decenni viene destrutturata con ironia e malcelato disprezzo. Per fortuna la Chiesa non cammina con i cattivi teologi ma con i santi come Carlo Acutis. Un’ultima maliziosa notazione: Carlo Acutis fu beatificato da papa Francesco nel 2020 che decise di canonizzarlo il 24 aprile ma la cerimonia fu rinviata a causa della sua morte. Ci si chiede come mai il professor Grillo non abbia esternato le sue considerazioni alla vigilia della beatificazione.
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La cacciata dei Padri del Verbo Incarnato continua ad agitare le acque e ha avuto eco anche in Vaticano (e alla Cei) dove ci si chiede cosa stia succedendo a Torino che appare sempre di più una diocesi in via di decomposizione. All’accorata lettera del Consiglio interparrocchiale pastorale delle parrocchie Maria della Chiesa e beato Frassati del 9 giugno scorso il cardinale non ha risposto, ma la vicenda pare lo stia inquietando non poco perché non aveva previsto tanto clamore sui social cattolici più letti e una raccolta di firme dei fedeli che si ingrossa ogni giorno di più. Ben diversamente si era comportato il cardinale Michele Pellegrino – che pur molte ragion aveva – con i ribelli della Comunità del Vandalino. Per questo il suo sorriso è apparso, durante l’assemblea della Cei svoltasi la settimana scorsa a Roma, meno stereotipato del solito.
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Nella lettera di Repole alla diocesi per la Consolata manca un minimo cenno di autocritica ed è noto che chi non è capace di autocritica non è immerso nella realtà e, di fatto quindi incapace di ascolto, che è poi il tratto tipico dei boariniani. Essa, oltre alla solita ecclesiologia da decrescita felice, è apparsa a tutti come la classica excusatio non petita accusatio manifesta e sembra indicare come l’arcivescovo abbia colto le difficoltà, i malumori e, forse, il non essere riuscito infine a costruire un rapporto di fiducia con il clero il quale, più che sulla geografia degli spostamenti, è rimasto deluso per il metodo e la mancata condivisione. Una lettera preoccupata di placare gli animi dei laici perché la strategia (propagandata in tutt’Italia) si gioca tutta sui «ministeri istituiti» che usciranno da Percorsi, l’istituto per la clericalizzazione e la “boarinizzazione” dei laici, dove però sembra manchino i candidati idonei. Almeno così parrebbe da una missiva inviata dal direttore don Paolo Tomatis ai moderatori in cui li sollecita al discernimento e, accogliendo le istanze di monsignor Guido Fiandino, inserisce fra i candidati idonei i già «formati dallo Sfop» e cioè il Servizio formazione operatori pastorali, un’altra agenzia formativa diocesana di cui si sono perse le tracce.
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All’incontro del papa con la Cei, Sua Eminenza Repole, in quanto cardinale, era in prima fila (dietro di lui c’era monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, che non è cardinale e neanche teologo, ma che quest’anno ha ordinato 11 sacerdoti) e avrà ascoltato l’invito di Leone XIV ai vescovi sul ruolo dei laici nella Chiesa: «Abbiate cura che i fedeli laici, nutriti della Parola di Dio e formati nella dottrina sociale della Chiesa, siano protagonisti dell’evangelizzazione nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, negli ambienti sociali e culturali, nell’economia, nella politica». Come si vede, non ha citato né le sacrestie, né i percorsi ma la sana teologia del laicato del Vaticano II.
Infine, li ha invitati a coltivare la cultura del dialogo: «È bello che tutte le realtà ecclesiali, parrocchie, associazioni e movimenti siano spazi di ascolto, di cura delle parole e delle relazioni. Perché solo dove c’è ascolto può nascere la comunione, e solo dove c’è comunione la verità diventa credibile». Esattamente come è avvenuto con i fedeli delle parrocchie torinesi dei Padri del Verbo Incarnato. Non è ozioso chiedersi sommessamente: ma che fine avranno fatto quei cattolici adulti (magari giornalisti) sempre tesi a cogliere i segni dei tempi?



