La scommessa (ardua) di Lo Russo contro l'onda lunga di Meloni
Davide Depascale 15:38 Sabato 28 Giugno 2025La statista della Garbatella sembra invincibile, i sondaggi continuano a sorriderle, eppure dalle città potrebbe nascere quell'alternativa che oggi manca. "Lì è il suo anello debole", spiega il politologo Natale. E il sindaco di Torino ha un piano
Giorgia Meloni ha il vento (dei sondaggi) in poppa, una solidità che i suoi predecessori si sognavano, smontando l’immagine di destra estrema dipinta prima delle elezioni (e che rimane in qualche propaganda frusta). “Non ha nulla a che vedere con altri partiti di destra europei, come Afd in Germania o Rn di Le Pen in Francia, che sono ancora percepiti come una minaccia. Anche la sua gestione delle relazioni internazionali, in un momento così delicato e disseminato di conflitti in giro per il mondo, è stato apprezzato”, spiega Paolo Natale, professore di scienze politiche a Milano e collaboratore Ipsos. Dopo quasi tre anni, la premier incassa consensi mentre in Europa i leader arrancano: Macron, Starmer e Sanchez sono in bilico, Trudeau e Scholz già fuori gioco.
L’opposizione nazionale è un disastro, frammentata e incapace di un’alternativa credibile, nonostante qualche vittoria locale come Genova o la sterile fiammata referendaria. “A fare il gioco della Meloni è anche la frammentazione dell’opposizione, che non è riuscita a esprimere un’alternativa unitaria e credibile”, sottolinea Natale. Con un’economia che tutto sommato regge e un rapporto di buon vicinato con imprenditori e pezzi di sindacato (come l’ex leader Cisl Luigi Sbarra, ora nel governo), Meloni può guardare al 2027 con relativa fiducia. “Fallito l’obiettivo di darle la spallata con il referendum e con una popolazione sempre più apatica nei confronti della politica, le basterà l’ordinaria amministrazione per restare in sella”, chiosa Natale. Ma se a Roma la premier sembra inattaccabile, il terreno locale resta una spina nel fianco. A partire da Torino.
Il terreno locale
Nel 2027, le elezioni politiche si intrecceranno con quelle dei grandi Comuni – Milano, Roma, Napoli e appunto Torino – e il capoluogo piemontese si candida a essere un laboratorio per l’alternativa a livello nazionale. “Nei grandi centri il centrosinistra continua a vincere, ed è proprio lì che risiede il potere economico. Uno scenario molto simile a quello americano, con Trump che vince nelle aree rurali e i democratici che controllano le metropoli”, osserva Natale. Il centrodestra, tradizionalmente debole nei grandi Comuni, soprattutto al Nord, a Torino non è mai stato veramente competitivo. Qui Meloni ha un problema in più: il rapporto inizialmente gelido con Stellantis, con John Elkann snobbato più volte a Palazzo Chigi, e le successive correzioni di rotta hanno nei fatti tagliato fuori la città. Inoltre, una classe politica stretta tra il reducismo identitario (Augusta Montaruli e la fiamma magica) e la carestia progettuale del ceto parlamentare e ministeriale non ha reso finora il centrodestra un interlocutore serio e affidabile agli occhi dell’establishment e degli stakeholder cittadini.
Il piano di Lo Russo
Stefano Lo Russo, sindaco Pd e coordinatore dei sindaci dem nella segreteria nazionale, punta a capitalizzare questa debolezza per costruire attorno alla sua ricandidatura un progetto di respiro nazionale, senza mettersi al traino dei vari tentativi che stanno spuntando come funghi (l’ultimo, quello al Parco dei Principi promosso dall’assessore capitolino Alessandro Onorato, che ha visto amministratori milanesi e fiorentini ma del tutto assente i torinesi). Nella testa del sindaco l’Alleanza per Torino di Pietro Garibaldi dovrebbe essere il fulcro di una coalizione larga in cui la componente civica non serve solo a bilanciare lo spostamento a sinistra impresso dalla leadership di Elly Schlein, ma caratterizzare in senso riformista l’offerta politica complessiva. Difficile che in riva al Po possa attecchire lo “schema Salis”, del dentro tutti, viste le ruggini antiche e mai del tutto superate con il Movimento 5 Stelle che qua significa Chiara Appendino. Eppure, anche sul fronte pentastellato Lo Russo sta lavorando e alcune diplomazie, riservatissime ma operose, sono all’opera da tempo. E la stessa ex sindaca non sembrerebbe più annebbiata da quel rancore che, ad esempio, ha impedito l’intesa anti Cirio alle scorse regionali. Riconferma scontata? Non ancora, ovviamente, anche se la tentazione di cambiare cavallo sembra perdere quota anche nelle frange di chi farebbe carte false per silurarlo. Chissà.
Torino può cambiare il gioco?
Il voto contemporaneo per politiche e grandi Comuni rende Torino un banco di prova cruciale. Se Lo Russo riuscisse a costruire un’alleanza credibile, sfruttando la debolezza storica del centrodestra nei centri urbani del Nord, potrebbe non solo confermare Torino come roccaforte del centrosinistra, ma anche prefigurare la formazione in grado di infliggere un colpo a Meloni, rafforzando l’opposizione a livello nazionale. “Fino a poco fa quella figura sembrava il sindaco di Milano Beppe Sala, ma ora la sua stella sembra tramontata”, nota Natale. Lo Russo, per ora, fatica a brillare come federatore a livello locale, non ultimo per il suo carattere e la diffidenza che ostenta verso chiunque lo avvicini, figuriamoci sulla scena nazionale.