GRANA PADANA

La Lega è finita (nelle mani di Verdini e Angelucci). Piemonte umiliato, Molinari "ostaggio" di Salvini

Moncalvo, ex direttore della Padania, è sferzante: "Mandare Ravetto ad Arera per fare posto a un fedelissimo l'ennesimo schiaffo ai militanti. Sul terzo mandato una battaglia di facciata". Il capogruppo alla Camera "è intelligente, ma se si ribella al Capitano è fuori"

“La fine della Lega è iniziata l’11 marzo del 2004, con l’ictus a Umberto Bossi. Il partito che gridava Roma ladrona è in mano a Verdini e Angelucci. E in Piemonte Laura Ravetto, che non ha nulla di padano, viene indicata per la presidenza dell’Arera, dove andrà a guadagnare 240 mila euro l’anno per 7 anni. L’ennesimo schiaffo alla militanza”. Gigi Moncalvo, giornalista e scrittore alessandrino, 73 anni, la Lega la conosce bene, avendo anche diretto La Padania dal 2002 al 2004, testimone oculare degli scossoni che hanno cambiato per sempre quello che era il partito del nord. Autore di una fortunata saga di libri sugli Agnelli, diventata lettura imprescindibile per chiunque voglia capire la parabola dell’ex famiglia reale, Moncalvo racconta senza peli sulla lingua la metamorfosi di un partito che ora, complice anche l’ascesa del generale Roberto Vannacci, è diventato tutt’altro.

Come possiamo interpretare le ultime mosse di Salvini, dalla battaglia sul terzo mandato alla nomina a vicesegretario di Vannacci, fino all’indicazione di Ravetto ad Arera?
“Il filo conduttore è che nel partito di Salvini la militanza e la competenza non contano nulla. Ravetto, che fino a pochi anni fa era in Forza Italia, viene premiata con la presidenza dell’autority dell’energia, uno dei ruoli più importanti d’Italia, con uno stipendio d’oro blindato per sette anni nonostante non abbia alcuna competenza in materia. Tutto questo per fare posto a un suo fedelissimo come Alberto Di Rubbia, già tesoriere della Lega e revisore dei conti al Senato, finito sotto inchiesta per gli affari di Lombardia Film Commission. L’uninominale in cui è stata eletta Ravetto è un collegio blindato; quindi, Salvini non avrà problemi a fare eleggere uno dei suoi uomini di fiducia. Per quanto riguarda il terzo mandato mi è parsa più una battaglia di facciata, Zaia finirà nel dimenticatoio e consegnerà le regioni del nord a Fratelli d’Italia. E Vannacci non credo sia un pericolo per la sua leadership, la sua nomina a vicesegretario (insieme ad altri tre, seguendo la strategia del divide et impera) è un modo per tenerlo sotto controllo: gli basta poco per metterlo ai margini”.

Quindi la Lega è sempre più il partito di Salvini?
“Più che di Salvini, è il partito di Verdini e Angelucci. Il suocero muove i fili dalla sua residenza a Pian dei Giullari, la stessa che fu di Spadolini, e l’imprenditore romano, eletto senatore, dà ossigeno alle casse della Lega e si garantisce la copertura politica per le sue cliniche. In via Bellerio non si decide più nulla”.

Perché non ci sono voci dissidenti?
“Perché sono state silenziate tutte, si pensi a Paolo Grimoldi, segretario della Lega Lombarda cacciato la scorsa primavera. Lui aveva chiesto aiuto a Bossi per far rinascere la Lega Nord, ma la moglie ha fatto capire che senza gli aiuti economici del partito sarebbe un problema garantirgli le cure. Alla fine, è sempre una questione di soldi, come il contratto del 2000 con Berlusconi, che salvò le casse del partito in cambio del ritorno nella coalizione di centrodestra dopo anni di accuse e denunce. Chiunque nella Lega ha paura che se alzasse la voce perderebbe il posto, come successo a Grimoldi. Che è lo stesso motivo per cui uno come Zaia non ha la forza né di sfidare il segretario né di fare una lista propria: potrebbe dire la sua in Veneto, ma sembra non aver imparato la lezione di Giancarlo Gentilini, amato dai militanti eppure mai candidato oltre i confini di Treviso”.

Il partito del Nord non esiste più insomma.
“Assolutamente no, ma mica da oggi. È un percorso che parte l’11 marzo del 2004, con l’ictus a Bossi. Io ero direttore della Padania in quei giorni, e si notava come tutti si preparassero a banchettare sul cadavere, tant’è che c’era anche chi aveva organizzato una messa in sua memoria, nonostante fosse ancora vivo. Roberto Maroni voleva incoronarsi nuovo leader a Pontida, prima che Bossi annullasse tutto con un video dall’ospedale. Video registrato da Salvini, che sfruttò la fedeltà al capo per farsi eleggere europarlamentare e iniziare la scalata. Si arriva poi alla notte delle scope del 2012, con Bossi messo all’angolo e Salvini in disparte. Il Senatùr ha fatto malissimo a fidarsi di loro due, che li hanno portati a dove siamo ora”.

E in Piemonte che aria tira?
“In Piemonte una volta avevamo Gipo Farassino e Mario Borghezio, oggi abbiamo Laura Ravetto. I militanti storici, ammesso che esistano ancora, sono continuamente umiliati. Non c’è spazio per l’impegno e la competenza in un partito così. Riccardo Molinari è una persona molto intelligente, ma è in un cul-de-sac: se alza la voce viene messo alla porta in meno di 24 ore. Così resta vicino al Sole cercando di non bruciarsi”.

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