Invasori e invasati

Varcando i cancelli delle scuole elementari, per tornare a casa, pensavo spesso con gioia al momento più bello della serata: quello in cui uno dei due canali Rai avrebbe mandato in onda il telefilm di fantascienza programmato nel palinsesto televisivo (stringatissimo) dell’epoca. Negli anni ’70, abbandonata la visione di “A come Andromeda”, mi concentrai su Ufo, iconica serie inglese, sostenendo idealmente il comandante Straker, sempre in lotta contro omini verdi alla ricerca di organi umani da espiantare.

In ordine cronologico è poi arrivato il telefilm “Spazio 1999”, e infine il cartone animato giapponese Goldrake. Ogni nuova avventura, proposta dal tubo catodico, stimolava la mia preoccupazione per l’enorme arsenale che l’umanità avrebbe dovuto immagazzinare al fine di combattere le possibili minacce aliene: auspicavo, con l’ingenuità dei bambini, che la tecnologia bellica fosse capace di fermare (in un futuro più o meno lontano) la minaccia di un’invasione extraterrestre sul nostro pianeta.

Dagli anni ’60 in poi, parallelamente al crescere della tensione tra i blocchi che si fronteggiavano durante la Guerra fredda, l’impegno di Hollywood si concentrava su sceneggiature in cui il genere umano subiva sconfitte poiché soggiogato dalla tecnologia militare aliena: il riscatto era di norma affidato a un pugno di combattenti adeguatamente armati e pronti a salvare il pianeta. Il messaggio inviato al pubblico dagli stabilimenti cinematografici era inequivocabile: per difendersi occorre necessariamente possedere un armamentario gigantesco, e per averlo è bene investire nella ricerca di nuovi micidiali ordigni offensivi.

Il riarmo voluto con forza dalla Presidente Ursula von der Leyen, dal premier tedesco e da quello statunitense non si nutre di narrazioni ritraenti marziani con il naso a trombetta che disintegrano tutto ciò che incrociano, ma di un nemico pronto a distruggere la “Civiltà occidentale”: una sorta di pericoloso “alieno” proveniente dalle desolate lande dell’Est. L’alibi usato dai governi per armarsi evoca sempre l’eterna lotta tra il bene e il male. Il richiamo nella memoria collettiva della grande battaglia che si combatte nella tolkieniana “Terra di mezzo favorisce la creazione di un clima culturale perfetto, poiché idoneo a far accettare alle popolazioni europee l’ineluttabilità della guerra stessa.

Il racconto invocato quotidianamente dai nostri premier andrebbe però riscritto, oppure affidato a un editor che ne riveda la struttura narrativa, poiché il “nemico alle porte” viene descritto al pari di un mostro omnivoro, lento e dai denti di gomma. Gli esecutivi, nelle ultime settimane, hanno invitato i media a riprendere vecchi tormentoni e renderli nuovamente attuali, compito eseguito con dedizione da buona parte di giornali e tv. Malgrado l’ottimo lavoro svolto dalla capillare propaganda di guerra, i testi diffusi non reggono, e le smagliature contenute nel romanzo bellico governativo sono sin troppo evidenti.

Ricompare infatti, in questi giorni, l’ipotesi che il leader del Cremlino sia gravemente ammalato e in fin di vita, reiterando così un leitmotiv già in voga qualche mese fa. Al pre-necrologio si affianca la notizia di un esercito russo che avanza in Ucraina, ma non sfonda, perdendo in media 3.000 (per alcune testate) oppure 4.850 soldati (per altre testate) al giorno. In sintesi, un disastro totale per la Russia: una situazione bellica costellata di sconfitte, morti e con una guida politica divorata da una malattia misteriosa. 

Di fronte a una catastrofe militare di queste dimensioni, il riarmo europeo (il cui scopo sarebbe quello di impedire l’invasione di Mosca di tutti i Paese della Ue) sembrerebbe davvero un’inutile, quanto incomprensibile, spreco. Le capitali occidentali tolgono risorse al comparto sociale, nonché alla sanità, per armare una piazzaforte europea che ricorda terribilmente la fortezza Bastiani: il forte, protagonista del romanzo di Buzzati (Il deserto dei Tartari), in perenne attesa di un nemico che non arriva mai.  Stupisce pure, di fronte a un avversario così debole, che si tengano continui consessi dei ministri europei della difesa, e degli esteri, in chiusura dei quali venga ribadito un altro mantra quotidiano: “Pieno sostegno a Kiev”.

Insomma, la propaganda di guerra è sempre esistita, ma la sua funzione è sostanzialmente quella di contrastare la libera informazione, di bilanciare le inchieste giornalistiche con verità di comodo costruite ad hoc negli uffici dei vari ministeri (modello che dovrebbe appartenere perlomeno alle cosiddette democrazie), ma quando tutte le notizie diventano propaganda significa che la libertà di stampa esala gli ultimi respiri. 

Nei giorni scorsi si è assistito a una replica della Guerra del Golfo, bombardamenti americani contro un nemico accusato di produrre armi di distruzione di massa in realtà inesistenti (ad esclusione di quelle con cui è stato colpito). Quotidianamente, Israele invia i suoi bombardieri contro Hamas, il cui esercito evidentemente è formato da risorse umane inesauribili (centinaia di migliaia di soldati), ma gli aerei raramente fanno vittime militari, mentre in compenso mietono migliaia di civili. 

La “crisi climatica” non è più nelle agende dei governi, del resto la guerra non è mai ambientalista, mentre con la benedizione di politici e opinionisti verranno presto prodotte grandi quantità di combustibile, agenti chimici e ordigni vari. Al finto “green” subentra il vero “black”; la foglia verde che certifica i prodotti biologici è stata sostituita dal teschietto con la baionetta tra i denti: la nuova epoca di morte è arrivata nel silenzio generale e portando grandi ricchezze ai soliti noti.

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