L'imbroglio sulla Messa antica. Frassati non era un cattodem
Eusebio Episcopo 07:00 Domenica 06 Luglio 2025Svelati i risultati della consultazione dei vescovi che portò papa Francesco al provvedimento restrittivo. Anche l'allora vescovo di Torino Nosiglia era del parere di mantenere le indicazioni di Benedetto XVI. L'abbaglio ideologico sul beato torinese
Si è celebrato venerdì scorso il centenario della morte del beato Pier Giorgio Frassati che a settembre sarà canonizzato da papa Leone XIV insieme al beato Carlo Acutis. Su di lui è in corso da tempo una operazione culturale, anche in recenti biografie, che tende a rappresentarlo come una specie di democristiano di sinistra ante litteram. In realtà il giovane figlio del senatore Alfredo Frassati, morto un secolo fa, fu l’esponente più tipico e convinto del laico cattolico dei suoi tempi e dell’Azione Cattolica di Pio XI (il 1925 è l’anno dell’enciclica, Quas Primas sulla Regalità di Cristo) che aveva come motto: preghiera, azione e sacrificio; ma che, soprattutto, mirava alla conquista delle anime a Cristo e all’instaurazione del suo Regno sociale, non nell’aldilà ma su questa terra.
Questo modello plasmerà e formerà intere generazioni di militanti cattolici, almeno fino al secondo dopoguerra, quando si ripiegherà sulla testimonianza, poi sulla presenza, poi sul dialogo e infine, ai nostri giorni, sulla necessità dell’assenza. Lo aveva compreso bene Giorgio La Pira che così scriveva del suo quasi coetaneo Piergiorgio: «Il suo fu un cristianesimo samaritano in vista 1) dell’espansione della Chiesa e quindi della Grazia e della verità nel mondo 2) per la tessitura di una civiltà di valori, che prenda volto e sigillo dal cristianesimo 3) per l’edificazione di una società che esprima ordinatamente nelle sue strutture economiche, sociali e politiche l’essenziale precetto cristiano dell’amor fraterno» (prefazione di G. La Pira a L. Frassati, L’impegno sociale e politico di Pier Giorgio, 1963).
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La voce circolava da tempo ma adesso la giornalista statunitense Diane Montagna ha rivelato, documenti alla mano, molti dettagli sulle motivazioni che portarono papa Francesco nel 2021, subornato da Andrea Grillo, a limitare drasticamente, con il motu proprio Traditiones Custodes, la celebrazione della Messa antica che Benedetto XVI aveva liberalizzato nel 2007 con Summorum Pontificum e che, per giustificare la sua decisione di quasi abrogare le celebrazioni in forma straordinaria, ne aveva attribuito la volontà all’episcopato e all’attuale Dicastero per la dottrina della Fede. È infatti venuta in possesso e ha divulgato la valutazione complessiva dell’allora Congregazione sui risultati della consultazione dei vescovi, voluta dallo stesso Francesco, e che lo avrebbero spinto al provvedimento restrittivo.
Qualcuno ha già parlato di «grande inganno» ed in effetti il testo rivela che «la maggioranza dei vescovi che hanno risposto al questionario (sugli eventuali problemi che sarebbero insorti con l’applicazione di Summorum Pontificum) ha dichiarato che apportare modifiche legislative al motu proprio «apporterebbe più danni che benefici» e contraddicono quanto affermato da papa Francesco per cui le risposte al questionario (che già erano capziosamente impostate per una valutazione negativa) «rivelano una situazione che mi preoccupa e mi rattrista e mi persuade della necessità di intervenire». Il rapporto ufficiale della Congregazione afferma che invece «la maggioranza dei vescovi che hanno risposto al questionario e che hanno implementato generosamente e intelligentemente il Summorum Pontificum, esprimono in ultima analisi soddisfazione per esso) aggiungendo poi che «nei luoghi in cui il clero ha strettamente cooperato con il vescovo, la situazione si è completamente pacificata».
Insomma, le risposte fornite dai vescovi sono stupefacenti: contrariamente a quello che è stato detto, la maggioranza dei vescovi si era espressa a favore della Messa antica nelle proprie diocesi, spiegando che la liberalizzazione avviata da Benedetto XVI era da considerarsi positiva e non aveva dato luogo a problemi. Una clamorosa verità che fa uscire a pezzi l’immagine di un pontificato incentrato sui proclami della collegialità e della sinodalità.
Abbiamo anche potuto visionare le risposta al questionario formulate dall’allora arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, e possiamo dire che a tutte le tendenziose nove domande il presule rispondeva molto obbiettivamente e realisticamente con un giudizio positivo, anche perché la Messa antica a Torino e in Piemonte è relegata nella ben custodita «riserva indiana» della Misericordia e nessun’altra celebrazione è ammessa per cui non si capisce quale pericolo per la comunione ecclesiale possa costituire. E questo mentre a pochi metri di distanza, in una chiesa vicina, si praticava tranquillamente l’intercomunione con i riformati.
Nelle altre diocesi piemontesi i vescovi scrivono ipocritamente che il problema non si pone nemmeno in quanto la Messa antica non è celebrata, senza però dire che i vari e numerosi gruppi che, in applicazione di Summorum Pontificum la chiedevano, sono stati da loro dissuasi in tutti i modi più subdoli o apertamente cacciati in malo modo, come fece il liturgofrenico vescovo “grillino” di Casale Monferrato, monsignor Alceste Catella per cui si dimostra che la mancanza di pace liturgica è dovuta più a una minoranza di vescovi che agli aderenti alla liturgia romana tradizionale. Anche l’arcivescovo di Milano – non una diocesi qualsiasi – monsignor Mario Delpini, così si esprimeva, con ovvio buonsenso, in riferimento alla domanda finale: «Ho l’impressione che qualsiasi intervento esplicito possa causare più danni che vantaggi: se si nega la linea del motu proprio troveranno nuova intensità le reazioni di dissenso e di risentimento dei cultori del rito antico».
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Se la Messa antica rimane proibita, giovedì scorso è stato presentato dai vertici del Dicastero per il Culto Divino e del Servizio dello Sviluppo Umano Integrale un’aggiunta alle Messe «per varie necessità», con una celebrazione pro custodia creationis che potrà essere usata per invocare la protezione della casa comune, in linea con la sensibilità espressa dall’enciclica di papa Francesco Laudato sì. La finalità è certamente nobile ma in questo modo la liturgia viene ridotta a contenitore delle sensibilità del proprio tempo e infine a una prassi celebrativa simbolicamente banalizzata, per cui si potrebbero avere inviti “alla conversione ecologica” ma nessuna confessione dei peccati, più attenzione alla raccolta differenziata ma nessuna alla Presenza Reale.
Insomma, la liturgia, che è per la gloria di Dio e la salvezza degli uomini, è stata ancora una volta pensata a tavolino e rischia di essere usata come manifesto ambientalista. Ci si chiede poi perché, allo scopo, non fossero sufficiente rivitalizzare le Quattro Tempora e le Rogazioni (troppo «indietriste»? che da sempre esprimono il particolare legame dell’uomo con la creazione nel ciclo delle stagioni, con una ricchezza liturgica che le Conferenze episcopali, nella loro somma insipienza, hanno soppresso.
L’autore della Missa pro custodia creationis è il “grillino” biellese, monsignor Vittorio Viola, ex vescovo di Tortona e oggi segretario del Culto Divino, acerrimo e piagnucoloso nemico del rito romano antico. Durante la presentazione è però spuntata inaspettatamente una giornalista che ha chiesto un chiarimento sullo scoop di Diane Montagna. Monsignor Viola stava per rispondere quando l’imbarazzato Matteo Bruni, direttore della Sala stampa, lo ha interrotto per rimproverare la giornalista dicendo: «Non mi pare sia una domanda pertinente» e che non confermava la ricostruzione, ma nemmeno la smentiva adducendo «rapporti riservati» di cui non veniva però dato conto. Da notare che il complesso della sgangherata comunicazione vaticana costa alla Santa Sede 49 milioni di euro all’anno, mentre l’Obolo di San Pietro, che negli ultimi anni è in caduta libera, ne riceve 55 dai fedeli di tutto il mondo.
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Ma questo vero e proprio imbroglio è solo un assaggio della pentola che si sta scoperchiando sul pontificato di Bergoglio. In un incontro con i giornalisti, il cardinale Tucho Fernandez, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha comunicato che l’abusatore seriale Ivan Rupnik, che non è più gesuita ma ancora prete, al quale papa Francesco tolse la scomunica latae sententiae e che protesse fino all’ultimo, sarà sottoposto a processo penale canonico in quanto è stato nominato il collegio dei giudici.
L’impressione, a fronte di coloro che esultano per la “bocciatura” del Tar Piemonte sulla Stanza dell'Ascolto in supporto delle donne in gravidanza, è che la sentenza non sia stata letta in quanto non si afferma in nessun modo che vi sia stata, con la sua istituzione, una violazione della legge 194. Il Tar, infatti, ha respinto i motivi del ricorso che affermavano una presunta violazione della legge, affermando anzi la piena legittimità del servizio di volontariato e limitandosi a dichiarare illegittima la convenzione siglata tra la Città della Salute e l’Associazione centro di Aiuto alla Vita-Movimento per la vita che sta gestendo l’iniziativa in riferimento alle competenze richieste a chi opera in generale all’interno delle strutture sanitarie.