Spremuta d'estate

L’arrivo dell’estate porta con sé caldo afoso, forti venti e piogge torrenziali. In questi primi giorni di luglio lo zero termico si è attestato a quota 5.000 metri, con grave danno per acqua dolce e ghiacciai, consegnando così a noi umani l’ennesima dimostrazione della mutazione climatica in atto.

La carta stampata e la televisione hanno scelto, anche quest’anno, di affrontare “nel solito modo” la calura estiva, ossia con foto di bambini che corrono sotto il getto delle fontane, oppure immagini di visi rinfrescati dai ventagli e interviste in cui accaldate persone rimarcano che il clima è decisamente torrido. Appurato come “faccia davvero caldo” non resta che avviare i condizionatori al massimo, provocando così due inevitabili fenomeni: il sovraccarico della vecchia rete elettrica (quella per cui si pagano anche importanti quote della bolletta) e il conseguente blackout a danno di interi quartieri della periferia torinese. 

L’unico allarme lanciato recentemente dai media su tema ambientale riguarda un dato sconcertante (almeno per alcuni giornalisti) che svela la modernizzazione dei Paesi del Terzo mondo, novità da cui deriva il massiccio uso di condizionatori, soprattutto laddove un tempo questi rappresentavano il classico bene di lusso. Il desiderio di aria fresca tra i cittadini asiatici e africani, secondo importanti opinionisti, comporta la necessità impellente di produrre energia usando materie prime messe al bando in passato, tra cui il carbone e il petrolio, nonché di installare centrali nucleari ovunque sul pianeta (l’alibi per fare un salto nel passato più cupo è fornito).

Purtroppo, i temi sociali e ambientali non si prestano a essere affrontati con dovizia poiché un’analisi seria dell’argomento metterebbe in seria crisi il sistema economico da cui dipendiamo: per tale ragione è meglio affidarsi a interviste sul tipo “ma che caldo che fa”.

Le privatizzazioni selvagge, a cui abbiamo assistito inermi in questi anni, non aiutano i cittadini ad affrontare i mesi estivi con serenità. Il primo conto dell’estate arriva infatti dai distributori di benzina, il cui prezzo (oramai affidato esclusivamente alla speculazione del mercato) balza mirabilmente in alto ai primi cenni di code in autostrada. La reta autostradale stessa, affidata in gestione a privati, impone pedaggi il cui costo è in costante crescita, seppur a fronte di manutenzioni non sempre adeguate ed efficienti. Il rituale aumento di agosto era nell’aria anche quest’anno, ma alcuni dissidi nella maggioranza di governo hanno evitato (per ora) l’odiato rincaro. L’aumento del prezzo del pedaggio avrebbe comportato a chi viaggia un ulteriore esborso, ma senza ancora garantire all’automobilista percorsi sicuri e privi di ostacoli da videogames. 

Superati i costi del viaggio, il vacanziere deve fare i conti con quanto rimane nel suo borsellino (o meglio con la residuale disponibilità mensile del bancomat) cosicché valutare se potrà accedere al mare, oppure se dovrà limitarsi a guardare le onde da molto lontano. Le spiagge libere sono infatti scomparse dalle coste italiane, in seguito alla scelta politica di ridurle a penosi fazzoletti rocciosi, mentre al contempo le concessioni a privati si sono moltiplicate. I concessionari, immutabili nei decenni e proprietari di fatto del 90% del litorale, applicano solitamente tariffe esclusive che permettano una forte selezione dei clienti. Paradossalmente, i canoni dovuti alle Capitanerie di Porto sono popolari, mentre gli incassi dei gestori sono strabilianti.

Le classi sociali media e popolare sono considerate limoni da spremere sino all’ultima goccia. La beffa della speculazione su luce e gas è l’ennesima prova di un’Italia svilita dalle crudeli pratiche iperliberiste. L’energia elettrica, per cui si pagano prezzi altissimi (inclusi i costi della distribuzione), arriva nelle abitazioni private superando a fatica malfunzionamenti e reti vetuste: le aziende distributrici incassano, ma (come per le autostrade) la manutenzione delle linee di distribuzione sono sempre rinviate a data da definire.

Coloro che rimangono in città potrebbero ripiegare però sulle piscine, ma purtroppo gli impianti sportivi torinesi sono gestiti (non sempre ma spesso) esattamente alla stessa maniera degli stabilimenti balneari: concessioni eterne a società che si comportano come proprietari e che applicano tariffe fuori dalla portata delle persone meno abbienti.

Le privatizzazioni hanno favorito pochi e danneggiato tutti gli altri. Grazie alla svendita di bene e di servizi pubblici qualcuno si è arricchito a svantaggio di un’amministrazione pubblica che, oltre perdere i propri beni comuni, si è indebitata pericolosamente. 

I cittadini, vittime preferite delle ricette economiche iperliberiste, pagano cifre sbalorditive per usufruire del patrimonio collettivo (ossia di tutti): una beffa di cui la popolazione è allo stesso tempo vittima e complice (grazie alla scelta di leader sensibili esclusivamente verso il diritto delle imprese).  

Privato è bello (si dice), ma poter disporre di un panorama o di un bene essenziale è più bello ancora.

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