Di guerra in guerra
Juri Bossuto 06:30 Giovedì 17 Luglio 2025
Il mondo, dagli anni ’50 sino alla fine del secolo scorso, era letteralmente diviso in due sfere di influenza: da una parte la zona controllata dagli Stati Uniti e dall’altra quella che aveva come riferimento il Cremlino. La caduta del Muro di Berlino (novembre del 1989) ha segnato la fine della Guerra Fredda tra le due grandi potenze globali, cancellando letteralmente un’epoca di battaglie combattute su terre lontane sia da Washington che da Mosca.
Corea, Vietnam, Nicaragua sono solo alcuni dei tanti Paesi in cui il confronto tra Usa e Urss è stato affidato “a terzi in armi”, ed a questi vanno sommati gli Stati vittime di colpi da mano, organizzati dalle agenzie di intelligence americane con lo scopo di rovesciare quei governi democratici (soprattutto in Sudamerica) intenti a instaurare modelli economici di stampo socialista. L’intervento russo a difesa del proprio alleato di Kabul ha segnato l’ultimo confronto bellico indiretto tra URSS e USA: da una parte l’Armata Rossa, schierata insieme all’esercito regolare della Repubblica Democratica dell’Afghanistan, e dall’altra i mujaheddin, sostenuti dagli Stati Uniti attraverso il governo amico del Pakistan.
Distrutta l’Unione Sovietica, implosa letteralmente dopo le riforme di Gorbaciov, sarebbero conseguentemente cessati i venti di guerra (per “scomparsa dell’avversario”). La cancellazione di uno dei due rivali, sostanzialmente ad opera dell’altro, faceva sperare in un futuro dell’Europa senza armi, poiché privata del nemico oltrecortina: una speranza rivelatasi vana.
Nella distrazione generale, la Guerra fredda è invece continuata anche dopo il 1989, seppur assumendo le sembianze di innumerevoli guerre civili scoppiate per imporre supremazie etniche. Le popolazioni jugoslave sono state le prime a subire i drammatici sviluppi dell’epoca postsovietica. lo Stato unitario dei Balcani (voluto dalle formazioni partigiane vittoriose sui nazifascisti) è svanito nel nulla in pochissimi giorni, annegato in un lago di sangue. La cruentissima guerra civile è terminata con il bombardamento di Belgrado (capitale che ha sempre preferito il Cremlino alla Casa Bianca) e la susseguente nascita di alcune nuove nazioni: il Paese “Non allineato”, oramai sottratto all’influenza russa, è diventato oggi un difficile mosaico di confini, nonché una distesa di filo spinato utile per dividere le comunità jugoslave in base alla fede religiosa di appartenenza.
Il prima attacco al blocco di capitali mondiali nate dalle ceneri dell’Urss ha coinvolto pure i Paesi arabi. Negli anni ’90 è stata rovesciato di regime al potere in Iraq (dove governava il partito Bath di ispirazione socialista) tramite i bombardamenti a tappeto effettuati dall’aviazione alleata: un attacco giustificato da Washington con l’accusa al leader di Bagdad (Saddam Hussein) di fabbricare e accumulare armi di distruzione di massa (in realtà mai trovate).
Impiccato Hussein, eliminato il leader palestinese Arafat e processato il Presidente Honecker (legittimo premier della disciolta Repubblica Democratica Tedesca) veniva la volta di Gheddafi. Lo storico leader libico venne giustiziato da una banda filo occidentali il 20 ottobre del 2011, dopo numerosi bombardamenti francesi e americani sulle città di Tripoli, Sirte e Bengasi. Il Partito laico Bath (in Libia denominato “Fronte popolare”) esisteva ormai solamente in Siria, sotto la bandiera di un regime costantemente in bilico a causa dell’avanzata dello Stato Islamico. Assad, l’ultimo ex alleato sovietico, ha alzato bandiera bianca nel novembre 2024, lasciando la nazione nelle mani degli integralisti religiosi vittoriosi: i quali dopo aver cacciato i russi dal territorio siriano hanno meritato la fiducia incondizionata delle cancellerie occidentali.
Dal 1990 l’Alleanza atlantica ha iniziato una lenta, quanto inesorabile, opera di avvicinamento ai confini della Federazione Russa, seducendo le nazioni un tempo appartenenti all’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. I Paesi Baltici e la Georgia, insieme ai vasti territori dell’Ucraina, sono stati attratti nell’orbita statunitense grazie a proteste di piazza che in alcuni casi sono sfociate (ancora una volta) in conflitti etnici. L’Arzerbaigian, dove di recente è stato vietato l’insegnamento della lingua russa nelle scuole, si prepara a diventare il prossimo fronte di erosione della vecchia area di interesse sovietico.
La retorica ufficiale esalta, in questa serie di conflitti violenti, l’opera indefessa del cosiddetto “mondo libero” che si batte contro le autarchie e i regimi dittatoriali, ma la realtà (osservandola meglio) rivela la profonda ipocrisia che si annida negli intenti del Patto atlantico stesso. L’Alleanza infatti non nega il proprio sostegno ai regimi autoritari “amici”, seppur allergici a qualsiasi forma di tutela dei diritti civili, mal celando così le ragioni economico-imperialiste che animano ogni sua azione.
L’Ucraina è stata interamente privatizzata, mentre le sue risorse sono state svendute alle multinazionali. Gli ultimi decreti firmati da Zelensky mettono il Paese nelle mani della deregulation, poiché autorizzano le imprese, nazionali e no, a poter agire liberamente sia nei confronti del mercato che dello Stato.
La Terza guerra mondiale a pezzi, parafrasando Papa Francesco, è mossa esclusivamente dalla volontà di accaparrare materie prime e ghiotte risorse. Un conflitto globale voluto da “pseudo leader” usciti dal cappello magico con cui giocano i big del mondo finanziario, ma soprattutto una guerra iniziata senza il consenso di tutti i popoli mandati al macello (siano essi a Est che a Ovest degli Urali).



