Il treno del desiderio va...

Nel mese di giugno era emersa la possibilità di trascorrere un breve fine settimana in centro Italia. Lasciata l’automobile a casa, prenotavo i biglietti tramite il sito di Trenitalia. Malgrado il congruo anticipo con cui effettuavo l’acquisto, il ventaglio ridotto delle offerte non mi permetteva di usufruire di sconti efficaci, così come la scelta del posto assegnato si rivelava molto difficile.

Dopo aver pagato il sovrapprezzo per poter accedere a poltrone che consentissero, almeno nel viaggio di andata, la lettura di un buon libro, giungeva l’email di conferma della prenotazione (con allegati i biglietti di andata e ritorno). Il giorno della partenza la prima sorpresa si presentava già a Porta Nuova, dove da qualche settimana era entrata in funzione la porta elettronica di accesso ai binari: malgrado l’aiuto del personale addetto alla vigilanza, la novità creava comunque qualche rallentamento nel flusso di passeggeri, soprattutto a causa di alcune persone non avvezze all’uso dei lettori del Qrcode (meccanismo che consente di lasciare l’atrio della stazione).

Superate le code per l’ingresso ai binari, finalmente raggiungevo il vagone e, quindi, occupavo il posto prenotato, constatando immediatamente che i passeggeri erano pochi, mentre erano numerosi i posti liberi (rimarranno liberi per tutto il tragitto). Il primo ritardo si manifestava già alla partenza, quando il treno Frecciarossa iniziava la sua corsa alcuni minuti dopo l’orario annunciato sui tabelloni: ritardo che, raggiunta la meta agognata, sfiorava in tutto i 30 minuti (dilazione temporale non rimborsabile, ma per fortuna senza ricadute gravi su altre prenotazioni).

Terminata la breve partentesi vacanziera giungeva infine il momento di fare ritorno a Torino. Incendi in prossimità della linea, e altri nefasti eventi, avevano generato, nei giorni precedenti la partenza, alcuni ritardi rilevanti proprio sulla tratta che avrei dovuto intercettare per rientrare a casa. Segnali positivi nel giorno antecedente facevano però sperare sulla puntualità del convoglio Frecciarossa, perlomeno per quanto riguardava l’appuntamento con la stazione di partenza. In effetti, i buoni auspici si rilevavano esatti: il treno era puntuale in stazione, e tutto procedeva insperatamente al meglio sino all’altezza di Bologna (quindi per un centinaio di chilometri). 

Nemmeno un’ora dopo la partenza, rallentamenti curiosi erano la premessa a una frenata piuttosto brusca e, in seguito, alla sospensione della corsa. Il convoglio passeggeri si bloccava quindi in prossimità di una piccola stazione, nei pressi del capoluogo emiliano, con immediato spegnimento dell’aria condizionata e dei monitor informativi. Dopo una trentina di minuti iniziavano a girare tra i passeggeri bizzarre teorie sull’accaduto. I viaggiatori (sempre più accaldati e forse in preda a uno stato allucinatorio) attribuivano infatti la sosta forzata a svariata cause: chi dava la colpa al classico suicida che predilige le rotaie per porre fine alla sua vita; chi invece sospettava un calo di corrente dovuto al solito guasto (oppure al solito sabotaggio, nel caso che le ipotesi provenissero da passeggeri simpatizzanti di Salvini); chi invece sosteneva che forse si era arrivati in anticipo a Bologna, causando così il panico nella torre di controllo del traffico ferroviario (ipotesi causa di ilarità generale).

Al quarantacinquesimo minuto i sostenitori di Salvini, presenti nel vagone in numero piuttosto limitato, non esplicitavano alcuna ipotesi, forse a causa delle maledizioni che tutti gli altri lanciavano sul Ministro dei Trasporti. Passati i 50 minuti, il Frecciarossa riavviava infine la sua marcia, ma guardandosi bene dal superare i 40 chilometri orari, scatenando così la convinzione generale che da lì a poco sarebbe stata necessario scendere tutti sui binari per spingere il pesante treno, sino all’arrivo a Bologna.

La pausa tecnica in Stazione Centrale permetteva finalmente di chiarire le cause del guasto. Risolto il problema, il convoglio ripartiva timidamente alla volta di Milano: un avvio affidato a una bassa velocità (sotto i 90 km orari) per nulla rassicurante. I viaggiatori, ormai, scommettevano apertamente sull’eventualità di raggiungere o meno l’agognata meta, abbandonando qualsiasi previsione sull’ora di arrivo a casa. 

Nel frattempo sui monitor comparivano le informazioni sulla compilazione dei reclami, nonché sulla possibilità di ottenere un rimborso per ritardi compresi tra i 60 e i 120 minuti, mentre per quelli minori si invitava a richiedere un bonus corrispondente al 25% del costo del biglietto: il treno su cui viaggiavo recava un ritardo di 57 minuti all’arrivo a Porta Nuova.

I fatti sin qui narrati riguardano un viaggio di piacere, ma da testimonianze raccolte tra i compagni di sventura, soprattutto tra coloro che si spostano in treno per lavoro (il mio viaggio ha interessato giorni feriali), descrivono una serie di ritardi e guasti che rendono difficili anche le giustificazioni presso i propri datori. 

Il primo ventennio del secolo assomiglia, nella cronologia storica degli eventi, a quello del ‘900: soffocamento della democrazia; guerre mosse da interessi di una stretta oligarchia; dominio del privato anche nel sociale. In questo tristissimo revival non mancano neppure le grandi opere faraoniche costruite, a scapito degli interventi  a sostegno del sociale, per onorare il Re di turno: ieri l’Altare della Patria, l’EUR e vari monumenti celebrativi vari; oggi TAV, riarmo e Ponte sullo Stretto.

Il governo celebra sé stesso con grandi opere dai costi stellari. Tra qualche decennio arriveremo a Messina in treno: occorrerà solo comprendere, di questo passo, come sbucare a Reggio Calabria senza dover scendere dai vagoni per spingere il convoglio sui binari, magari cantando pure un brano blues.

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