La democrazia degli indici d'ascolto

I giovani solitamente creano il loro palinsesto televisivo, navigando tra le varie piattaforme. In questo modo riescono a ottimizzare il tempo dedicato al piccolo schermo optando per il film, o la serie televisiva preferita, ed evitando così di inciampare in programmi ritenuti inutili, noiosi e ricchi di retorica. L’esclusione aprioristica di alcuni eventi a 32 pollici, consegnata normalmente allo zapping, riguarda in primis l’informazione, oramai affidata in gran parte ai social e al rapporto quotidiano con i canali Telegram, dedicati ai più variegati temi di interesse pubblico. 

Purtroppo i contenitori giornalistici rasentano spesso la banalità, quasi infantile, somministrando al pubblico massicce dosi di reportage pieni di slogan e privi di contenuti sostanziali. L’esempio più eclatante, inerente fatti di cronaca, è l’enorme quantità di servizi dedicati attualmente al delitto di Garlasco: evento delittuoso risalente al 13 agosto 2007 (18 anni fa), in seguito al quale perse tragicamente la vita la giovanissima Chiara Poggi.

L’omicidio, avvenuto nella cittadina in provincia di Pavia, aveva occupato per parecchie settimane le prima pagine di tutti i quotidiani (nazionali e locali). L’efferatezza del crimine, unita all’incertezza della prima fase investigativa, generarono nel pubblico una curiosità morbosa, sovente intrisa di cinismo: fenomeno che si sta ripetendo in seguito alla riapertura delle indagini.

Purtroppo, l’omicidio di Chiara Poggi è destinato in futuro a diventare oggetto di studio, sia per quanto concerne il campo criminologico che quello sociologico. La Giustizia, nel 2015, ha individuato un colpevole, il fidanzato Alberto Stasi, ma i suoi avvocati stanno lavorando per ottenere la revisione del processo. I legali sostengono infatti l’innocenza del loro assistito producendo alcune prove inedite che lo scagionerebbero, mentre al contempo gli stessi atti individuerebbero l’agire criminale di altri individui (tra cui un amico della coppia) precedentemente ignorati dagli investigatori.

La rielaborazione dei fatti delittuosi ha dato vita a un’enorme messinscena mediatica, una sorta di Circo Barnum televisivo, in cui avvocati e presunti esperti si disputano la presenza negli studi tv per illustrare nuovi scenari del crimine, assolvere antichi indiziati e chiamare in causa altri individui. Nei salotti televisivi vengono indicate inedite macchie emostatiche, impronte sfuggite ai primi investigatori e alibi verificati 18 dopo gli accadimenti. La sceneggiatura è tristemente simile a quella che ha accompagnato la richiesta di riesame di un altro processo che a sua volta interessò per molte settimane le pagine di cronaca nera: la strage di Erba (avvenuta nel 2006). Stesse dinamiche mediatiche e un fiume di dibattiti, con eccessi degni della peggior tv trash, che il 13 maggio scorso si è concluso con il rigetto della Corte di Cassazione e la conferma delle condanne emesse in precedenza.

Mentre alcune vite vengono stravolte, obbligando nuovi sospettati a ricostruite alibi di giornate risalenti a 18 anni fa (impresa impossibile anche per coloro che hanno il “culto” dell’agenda), la televisione offre un’immagine di sé stessa a dir poco devastante: quella di un palinsesto costruito con pochi spiccioli, nessun vero approfondimento, e sfruttando le tragedie umane sino all’ultima goccia di sangue. Arene dove si scontrano opinioni evanescenti, eteree, espresse da figure adatte alle telecamere ma incapaci di esprimere argomenti concreti e circonstanziati. L’audience sale in modo inversamente proporzionale alla crescita del livello culturale di chi è sintonizzato sulla “cinico tv” di turno. 

Un modello purtroppo simile a quello adottato in gran parte dei contenitori giornalistici che si occupano di politica nazionale, di quella estera e dei conflitti bellici in corso. Appuntamenti di informazione (così definiti) in cui gran parte dello spazio è riservato a slogan politici e alla manipolazione dell’opinione pubblica. Di rado si affrontano i fatti con un’analisi delle cause e delle concause, e il tutto si riduce a una sfilata di opinioni espresse da intellettuali (o presunti tali) che hanno dimenticato quanto sia importante il giornalismo di inchiesta (particolarmente quello che fa soffrire il potere costituito) per l’esistenza di una società retta da principi democratici.

Niente, nei programmi tv, pare voler andare oltre al confine tracciato dall’opinione stessa, la quale per definizione è soggettiva e per nulla idonea a descrivere una situazione complessa, poiché nutrita dal concatenarsi di innumerevoli fatti. L’opinione, oggi, è un punto di vista spacciato come una verità assoluta: verità che, nel nome della vera Democrazia, non ammette dubbi e tantomeno il dissenso.

“Se lo dice la tv è vero”: il de profundis della libera informazione.

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