La politica estera non è mai movimentista
Giorgio Merlo 09:10 Martedì 14 Ottobre 2025
Una politica estera seria, credibile, autorevole e soprattutto affidabile non può mai ispirarsi ai disvalori – e alle derive – del movimentismo e della estemporaneità. Lo dice la storia prima ancora della politica e delle varie, e del tutto legittime, opinioni politiche. E questo per una ragione persin troppo semplice da spiegare. E cioè, la politica estera di un partito, o meglio ancora di una coalizione, non può essere confusa con una sorta di permanente assemblea studentesca dove, non a caso, prevalgono altri criteri: dalla estemporaneità alla casualità, dall’improvvisazione alla fantasia al pressappochismo.
No, la politica estera – soprattutto nell’attuale fase storica ma il giudizio valeva anche all’epoca della cosiddetta “guerra fredda” e dell’intera stagione della prima repubblica – è l’architrave su cui regge la credibilità e la statura di una coalizione politica. E di governo. Perché si tratta di scegliere le alleanze nello scacchiere internazionale, di non limitarsi ad inseguire le piazze in chiave puramente populista e demagogica e, infine, di non cambiare opinione a seconda delle convenienze momentanee e in chiave puramente contingente e di equilibri politici interni. Questa è, oggi, la differenza fondamentale tra chi interpreta la politica estera come la carta di identità di un paese e chi, al contrario, la vive solo ed esclusivamente all’insegna della polemica interna.
Sotto questo versante c’è una regola di fondo a cui non si può e non si deve mai rinunciare. E cioè, il populismo – demagogico e qualunquista – è sempre e solo radicalmente alternativo a qualsiasi progetto di politica estera. E questo per la semplice ragione che la strategia e il progetto politico di politica estera non può mai essere piegato alla logica della rincorsa passiva della piazza e degli umori che dalla piazza emergono. Perché se questo è il progetto, è del tutto ovvio che le forze politiche che lo interpretano e lo assecondano non sono partiti che possono esprimere una vera e credibile cultura di governo.
È per queste ragioni, semplici ma oggettive, che negli attuali due schieramenti emerge una differenza di fondo. E cioè, se nella maggioranza di governo l’unica forza dichiaratamente populista – ovvero la Lega di Salvini – è drasticamente minoritaria nella costruzione e nella pianificazione della politica estera, nella coalizione del cosiddetto “campo largo” sono proprio le forze populiste, estremiste e radicali a dettare l’agenda. E cioè, la sinistra populista dei 5 stelle, la sinistra radicale e massimalista del Pd della Schlein e la sinistra estremista ed ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis. Una diversità che, piaccia o non piaccia, segna oggi la differenza tra la coalizione di centro destra e l’alleanza di sinistra e progressista. Ma, al di là delle differenze e della stessa composizione delle rispettive coalizioni, un fatto è indubbio ed oggettivo. Alle prossime elezioni politiche il progetto della politica estera del nostro paese sarà un elemento, se non l’elemento, decisivo e determinante per qualificare la credibilità, l’attendibilità, la serietà e la coerenza politica di una coalizione che aspira anche e soprattutto ad avere una ambizione di governo.


