Semaforo Rosso per Zangrillo, Forza Italia verso il congresso
07:00 Lunedì 27 Ottobre 2025Il deputato torinese forza la mano e con gli Stati Generali sulla casa imprime un'accelerata alla sua candidatura per guidare il partito in Piemonte. Irritazione ai vertici. Chi controlla le 5mila tessere? Le manovre dietro le quinte di Pichetto (e Cirio)
Torino, Teatro Carignano, sabato: il sipario si chiude su quella che molti ritengono l'incoronazione anticipata di Roberto Rosso a futuro segretario di Forza Italia in Piemonte. O almeno, questo è ciò che il deputato e i suoi accoliti lasciano intendere, mettendo a frutto la passerella degli Stati Generali sulla Casa, evento organizzato nella sua veste di responsabile nazionale del Dipartimento casa, edilizia sociale e riqualificazione delle periferie, carica cucita su misura per lui, che di mestiere amministra condomini. Un’iniziativa promossa in quasi totale autonomia, tagliando fuori i vertici regionali del partito, a partire dal coordinatore Paolo Zangrillo, di cui pure è vice, relegati a fare da tappezzeria, quasi da sparring partner. Non è un caso che Rosso si sia riservato l’intervento clou della mattinata, subito prima del discorso conclusivo del segretario nazionale Antonio Tajani, suggellato da un tripudio di “Rosso, Rosso” gridato da una claque ben oliata in platea. A giudicare dalla faccia di Zangrillo il colpo di scena deve averlo infastidito non poco.
Zangrillo a fine corsa
Zangrillo, ministro e commissario regionale, sembra aver perso la presa sul partito. Arrivato alla guida di Forza Italia Piemonte più per meriti familiari – è fratello di Alberto, a lungo medico personale di Silvio Berlusconi – che per militanza (“Forse non aveva in tasca neppure la tessera”, sussurrano i maligni), non è particolarmente amato né dalla base né dal gruppo dirigente. Freddo, distaccato, con un pizzico di boriosità, preferisce i weekend al mare alle riunioni nei circoli o al confronto sui territori. La sua gestione è stata accompagnata da una “piccola corte dei miracoli (e di miracolati)”, come la definiscono i critici, senza troppo rispetto per i veterani del partito. Ma il vero ostacolo per Zangrillo è il nuovo regolamento congressuale, che richiede a ogni candidato alla segreteria regionale di raccogliere il 15% degli iscritti in ciascuna provincia. Una soglia che, secondo molti, rappresenta per lui un ostacolo quasi insormontabile.
Non a caso, durante un vertice nazionale al quarto piano della Camera, convocato martedì scorso per analizzare il voto delle recenti elezioni regionali, Zangrillo si è opposto proprio a questa norma, spalleggiando la minoranza interna – la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli, il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè e il deputato Alessandro Cattaneo – convinta che il 15% sia una ghigliottina per chi vuole scalare il partito, avvantaggiando i coordinatori uscenti. In quella sede è intervenuto Alberto Cirio, governatore piemontese e vicesegretario nazionale, difendendo la norma e quindi opponendosi al suo segretario regionale. La regola è passata all’unanimità, con le sole astensioni di Ronzulli e Mulè. “È tornato agli antichi amori”, hanno commentato sarcastici alcuni, riferendosi ai rapporti iniziali di Zangrillo soprattutto con l’ex “vestale di Arcore” Ronzulli. Senza quella “polizza” per Zangrillo la partita è pressoché chiusa: “Mai e poi mai riuscirà a mettere sotto il suo nome le firme necessarie per candidarsi”.
Rosso di sera
Il ragionier Rosso, classe 1967, figlio del geometra Dario, noto conduttore di talk show negli anni Novanta sulle tv locali, è un politico che sa fiutare il vento quando cambia direzione. Soprannominato “Red Patacca” per distinguerlo dall’omonimo politico degli anni ruggenti berlusconiani, Rosso è abile nel saltare sul carro giusto al momento giusto. Debutta negli anni Novanta con la Lega Nord di Gipo Farassino, conquistando lo scranno da consigliere regionale, per poi passare al gruppo misto. Si avvicina ad Alleanza Nazionale diventando uno scudiero dell’allora federale ex missino Ugo Martinat, ottenendo nomine di sottogoverno, infine approda in Forza Italia grazie a Gilberto Pichetto, di cui cura la campagna elettorale per la presidenza della Regione Piemonte nel 2014. Ricompensato con l’elezione a deputato nel 2018, Rosso si lega poi a Zangrillo, il quale con gli artefizi delle candidature plurime gli assegna senza faticare il laticlavio.
Ride, Rosso, ride sempre, anche delle disgrazie altrui. Ora che la nave di Zangrillo fa acqua, il vice non ci pensa due volte a mollare l’ancora. E non è tutto: Rosso ha scaricato pure Maurizio Gasparri, suo capogruppo a Palazzo Madama, dove è tanto per cambiare suo vice. Inizialmente aveva sperato di farsi “uomo del Piemonte” per l’ex ministro, forte di una comune militanza in Pdl e An. Ma quando ha fiutato che gli eredi di Berlusconi vedono Gasparri come un residuato bellico – già abbondantemente “ripagato” per la legge tv che salvò Mediaset e accusato di non avere “nulla di liberale” – Rosso ha fatto dietrofront. Con Gasparri e il suo omologo di Palazzo Madama Paolo Barelli che potrebbe presto perdere la poltrona in favore di quel rinnovamento di facce e contenuti auspicato dai figli del Cavaliere, meglio mettersi in proprio.
La battaglia delle tessere
Il congresso regionale di Forza Italia, previsto per i primi mesi del 2026, si annuncia come un inedito esercizio di democrazia interna per un partito che, nato come “azienda” berlusconiana, si apre per la prima volta a una selezione dal basso. Ma il vero campo di battaglia sono le tessere, circa 5.000 in Piemonte, che potrebbero lievitare nelle prossime settimane, visto che il termine di iscrizione è stato provvidenzialmente prorogato al 19 dicembre. Un incentivo, inoltre, è dato dal costo decisamente popolare della tessera – 10 euro – non troppo gravoso neppure per gli eventuali capibastone.
Il malloppo è saldamente nelle mani dei referenti locali, i “cacicchi” come li chiamerebbe Elly Schlein. A Cuneo, che conta quasi 2.000 tessere, domina il vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Graglia; ad Alessandria regna incontrastato il venerabile cardinale azzurro Ugo Cavallera; a Biella non si muove foglia che Gilberto Pichetto non voglia; nel Vercellese la “valanga azzurra” è stata orchestrata da Cirio. Asti è sotto la tutela di Marco Gabusi, vero braccio destra in giunta di Cirio. A Novara, l’unica provincia in cui la coppia Zangrillo-Rosso poteva contare su un supporter, si fa largo Annalisa Beccaria, ormai emancipata dall’ex parlamentare Diego Sozzani (non a caso arruolato nello staff del ministro della Pa). A Torino, il piatto forte è nelle mani dell’assessore regionale Andrea Tronzano, mentre in provincia il capogruppo a Palazzo Lascaris Paolo Ruzzola raccoglie le briciole. Tutti, chi più chi meno, orbitano intorno a Cirio.
Rosso ha trovato un’alleata in Claudia Porchietto, attuale sottosegretaria regionale, con cui ha stretto un’intesa nonostante in passato se ne dicessero alle spalle peste e corna: Rosso, del resto, fu tra i principali artefici della sua mancata rielezione in parlamento, piazzata in un collegio senza chance. Porchietto, pur di tornare a Roma, ha ingoiato l’orgoglio ferito, ma il suo peso interno è assai marginale: “Piace a chi mai voterebbe Forza Italia”, si dice di lei. Difficile, dunque, che questa alleanza sia sufficiente per Rosso.
Le nuance del Rosso
Raccogliere il consenso necessario per presentarsi al congresso sembra per Rosso un’impresa ardua. Eppure, per strane alchimie o per l’assenza di alternative, i “proconsoli” locali potrebbero convergere su di lui, a condizione di essere certi di poterne condizionare l’azione. E a lui, in fondo, potrebbe pure star bene. In questo scenario, Forza Italia potrebbe ritrovarsi, 25 anni dopo, con un nuovo Roberto Rosso al timone regionale. Chissà.
Una cosa è certa: se Zangrillo dovesse tentare di rimanere in sella, si troverebbe sulla strada Gilberto Pichetto, più che mai intenzionato a “restituirgli la pariglia” per il trattamento subito alle scorse elezioni, quando fu collocato in un seggio a rischio. “Ministro per ministro io mi candido”, avrebbe confidato ai suoi, annunciando che recederà soltanto se dovesse essere sancita l’incompatibilità tra ruolo di partito e cariche apicali di governo.
Il partito è partito
Dal palco della festa di Forza Italia a Telese Terme, lo scorso settembre, Antonio Tajani ha tracciato la linea: “Io non sono Berlusconi. Prima c’era un leader che copriva tutte le magagne e i buchi, Berlusconi con la bacchetta magica risolveva tutto. Ma ora dobbiamo fare in modo che il partito supplisca all’assenza del fondatore. E può farlo soltanto rinforzando la democrazia interna. Gli iscritti devono scegliersi chi li guida nelle battaglie, i segretari locali non devono essere nominati dal segretario nazionale”. Parole, quelle del “maritozzo cociaro”, che mettono Forza Italia di fronte a un bivio: saprà scrollarsi di dosso l’etichetta di “partito di plastica” dell’era Berlusconi, abbracciando una vera dialettica interna, o resterà intrappolata in un gioco di tessere e piccole ambizioni personali? In Piemonte, tra intrighi e vecchie ruggini, il congresso sarà il banco di prova.


