Difesa: l’industria corre, la politica arranca
Claudio Chiarle 06:00 Mercoledì 29 Ottobre 2025
Quando l’industria è più veloce della politica. Mentre l’Unione Europea discute, si divide e non decide su un sistema di difesa europea, i colossi industriali europei costruiscono collaborazioni. L’ultimo caso è la firma del MoU (memorandum of understanding) tra Airbus, Leonardo e Thales (quindi una società italo-francese) finalizzata a consolidare l’autonomia strategica dell’Europa nello spazio con un’operatività prevista nel 2027. La nuova società impiegherà circa 25.000 addetti in tutta Europa e un fatturato annuo di circa 6,5 miliardi di euro contro i 6,6 di Starlink (dati a fine 2024)
le quote azionarie saranno al 35% di Airbus e al 32,5% di Leonardo e Thales. Controllare lo Spazio è cruciale sia nel campo civile, sia in quello militare che ormai sono integrati. È anche una risposta al programma Starlink di Musk e rendere l’Europa autonoma nel controllo spaziale del proprio territorio.
Il nuovo clima internazionale dall’invasione russa dell’Ucraina al cambio di atteggiamento di Trump verso l’Europa in materia di difesa e sicurezza per cui disinveste nella Nato ma punta a realizzare un programma di difesa spaziale degli Usadenominato “Golden Dome” e lancia il programma “Janus” che mira a introdurre microreattori nucleari modulari all’interno delle basi statunitensi per garantire autonomia e continuità operativa anche in assenza di erogazione di energia elettrica civile perché la difesa del Paese, come insegnano i bombardamenti russi in Ucraina, passano anche dalla separazione delle fonti energetiche civili da quelle militari.
Mentre la politica “bamblina” sulla questione difesa e nel Paese si sottovaluta la necessità di avere sistemi di deterrenza efficaci al netto delle capacità di spese della finanza pubblica, Leonardo, la maggiore azienda italiana nel campo della difesa, agisce per costruire partnership europee. Oltre alla già citata alleanza abbiamo la Joint Venture con Rheinmetall, tedesca, nel campo dei sistemi terrestri e la collaborazione con la turca Baykar nel comparto unmanned (velivoli sena equipaggio: i droni) non rappresentano semplici operazioni di mercato, ma tasselli di un più ampio percorso di integrazione industriale europea, volto a rafforzare l’autonomia tecnologica e strategica del Continente.
In Italia abbiamo un patrimonio di competenze nella filiera aerospaziale e della difesa di 230.000 addetti e un fatturato di circa 17 miliardi di euro. I due settori, l’Aerospazio e Difesa, sono un pilastro dell’economia nazionale e anche un asset strategico per un’Europa tecnologicamente indipendente. Serve un Europa capace di difendersi da sola senza deleghe a altri Paesi. Servono contemporaneamente scelte politiche per rafforzare un’Europa non più somma di Stati e di veti incrociati ma autenticamente federale per il bene comune.
Gli strumenti di gestione coordinata nel complesso industriale della difesa esistono già, dal 1996 è costituita l’Occar (l’organizzazione europea per la cooperazione congiunta in materia di armamenti) creata da Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna, Belgio. Tra i Paesi partecipanti, non europei, vi è la Turchia e l’Australia e non vi partecipano gli Usa.
L’Occar gestisce 21 programmi militari europei con lo scopo “di promuovere la cooperazione, migliorare l’efficienza e ridurre i costi dei programmi di acquisizione degli armamenti, il tutto nella prospettiva di diventare un centro di eccellenza europeo nella gestione dei programmi in questo settore, per giungere a realizzare i sistemi di difesa necessari a colmare i vuoti nelle capacità militari del vecchio continente”. (da Difesa.it)
la collaborazione tra aziende europee è già un dato di fatto che va consolidato dal punto di vista produttivo e della capacità di difesa. Gli ultimi decenni dimostrano che gli eserciti europei si sono organizzati più come forza di peacekeeping piuttosto che come difesa del territorio. L’esempio più comune è la bassa produzione di carri armati a favore di mezzi gommati e anfibi. Ora gli scenari sono cambiati e la difesa del territorio europeo e/o del Paese ridiventano prioritari in un’ottica di deterrenza.
I conflitti hanno cambiato conformazione come dimostrano i massicci attacchi di droni russi verso l’Ucraina, sia dell’Iran verso Israele. Oggi non siamo attrezzati per questo. I sistemi antimissile Aster capaci anche di intercettare i missili ipersonici saranno operativi dal 2026 con le batterie Samp-T. Peccato che di batterie ne abbiamo solo cinque e sono: una in Kuwait per proteggere le missioni internazionali, una usata per difendere le esercitazioni Nato, una in manutenzione, un’ultima era in Slovacchia, ma è rientrata per il G7 in Puglia, e ne rimane solo una efficiente. Quindi sono due per tutto il Paese!
Il tema centrale diventa l’insufficienza di munizionamento, a fronte di un’aggressione non avremmo le munizioni per difenderci. In una visione europea compito del Governo è dare la possibilità all’industria di ricostituire, potremmo chiamarlo, “il magazzino di difesa” necessario alla tutela del nostro Paese e dell’Europa. È anche un’opportunità di riconversione dall’automotive alla difesa. Preferisco parlare però di riequilibrio e siccome il tema dal punto di vista etico e psicologico per i cittadini è delicato ci vorrebbe una capacità politica di affrontarlo in modo ragionato e riflessivo.
A Torino abbiamo una forte tradizione sull’industria della difesa e il Sindacato torinese aveva una capacità, che andrebbe ripristinata, di riflettere e creare consenso sul territorio anche in questo ambito. In primis dimostrando che se si offre professionalità, salario e prospettiva di lavoro stabile i giovani dopo gli Istituti tecnici o l’università sono attratti da queste competenze e ambito lavorativo. Secondo che da sempre chiedevamo che insieme allo sviluppo della difesa ci fosse uno sviluppo delle ricadute, duale, sul civile; dall’uso dei materiali alle tecnologie.
In Piemonte abbiamo 35mila addetti, le 5 più grandi aziende del campo aerospaziale, oltre 450 pmi che spaziano da Borgomanero a Pinerolo passando per Cameri, Rivalta e Caselle, nonché a Torino. Possiamo tranquillamente candidarci a sviluppare anche la filiera del munizionamento e senza dimenticare che sia nel campo civile che in quello della difesa abbiamo bisogno dell’energia nucleare con piccoli reattori.
Occorrono sinergie politico-industriali, volontà, competenze e concretezza uscendo dalla situazione in cui siamo: troppo deboli per difenderci, troppo indecisi per rafforzarsi. Insomma, usciamo dal guado.


