Corsi semideserti al Nord, addio al medico di famiglia
Stefano Rizzi 07:00 Mercoledì 29 Ottobre 2025Oltre 5 milioni di italiani senza dottore. Ma le nuove leve scarseggiano. In Piemonte su 170 borse di studio disponibili coperte solo 120. Venesia (Fimmg): "Professione sempre meno attrattiva. Troppe incombenze e poche certezze"
L’Italia non è più un Paese per il dottor Guido Tersilli. Semmai si dovesse girare, sessant’anni dopo, un remake de Il medico della mutua, la scena del rampante professionista a caccia di pazienti interpretato da Alberto Sordi dovrebbe essere capovolta.
I dati più aggiornati indicano in non meno di 5 milioni gli italiani che non hanno e non trovano un medico di famiglia. E le proiezioni stimano che, in assenza della copertura del turnover, presto arriveranno ad essere 8 milioni.
In 10 anni persi 7mila dottori
In un decennio i camici bianchi che operano sul territorio sono calati da 45.203 del 2013 a 37.983 del 2023, con un andamento negativo che non accenna a diminuire e che, anzi, va accentuandosi giustificando ulteriori timori considerando che da oggi al 2035 andrà in pensione circa un terzo degli attuali medici in attività la cui età media è tra le più alte in Europa.
Ma a rendere la situazione “ancor più drammatica”, come la definisce Roberto Venesia segretario per il Piemonte della Fimmg, il numericamente più rappresentativo sindacato di categoria, sono ancora altre cifre: quelle relative alle borse di studio per i corsi triennali necessari per diventare medici di medicina generale.
In sei regioni, quasi tutte al Nord, i posti offerti sono stati occupati solo in parte e in non rari casi la mancata partecipazione ha oltrepassato di molto la soglia critica. Proprio in Piemonte a fronte di 170 posti messia disposizione i neolaureati che hanno presentato domanda si fermano a 120. Una percentuale negativa che trova situazioni peggiori solo nelle Province autonome di Trento e Bolzano dove a fronte rispettivamente di 40 e 25 offerte le domande si sono fermate a 25 e 13 con un rapporto simile a quello delle Marche che ha coperto solo 82 dei 160 posti.
Italia divisa in due
Nell’elenco segnato in rosso anche la Liguria con 50 domande su 61 disponibilità e la Sardegna cui sono mancati solo 3 iscritti per completare le 60 borse di studio. Nel novero anche la piccola Valle d’Aosta che riesce a occupare soltanto 4 dei dieci posti per i corsi. Saldo negativo anche in Veneto con 179 partecipanti per 191 posizioni disponibili. E se la Lombardia con 306 borse assegnate resta lontano dall’obiettivo fissato a 390, in questo a rendere ancor più forte l’idea della scarsa attrazione per questa branca della medicina è il fatto che gli iscritti inizialmente erano ben 602, ma evidentemente ben presto hanno cambiato idea privilegiando altre specializzazioni.
E già in questo cambio, uno dei fattori che concorrono alla scarsa attrattività della medicina generale si mostra in maniera, spesso, decisiva. La borsa di studio per frequentare i corsi arriva a 900 euro al mese circa contro poco meno del doppio per quelle di tutte le altre specializzazioni. Ma è soprattutto la prospettiva a convincere sempre meno neolaureati a imboccare la strada del medico di famiglia al Nord. Già, perché è solo grazie alle regioni del Sud che il saldo complessivo tra i 2.223 posti offerti e le 2.798 iscrizioni risulta positivo. Basta guardare alla Campania dove per 150 posti ci sono 380 richieste, così come in Sicilia con 337 domande per 188 borse di studio. Altro aspetto da considerare nell’analisi del fenomeno attiene proprio all’offerta che in alcuni casi potrebbe apparire sovradimensionata. Se in Piemonte i posti sono 170, nel Lazio si fermano a 82 nonostante le 263 richieste e lo stesso vale per la Calabriache mette in campo appena 40 posti e si trova 149 richieste.
Mancata organizzazione
“Ricordo bene quanto mi sia battuto per aumentare le borse di studio in Piemonte, come ho fatto negli ultimi quindici anni. Nel 2012 – ricorda il segretario regionale della Fimmg – avevamo solo 40 borse e ne ottenemmo il doppio, ora sono ancora di più ma si è ben lontani dal coprirle. Un fatto che ci deve interrogare tutti”. A una prima domanda che egli stesso pone, Venesia risponde in maniera netta: “Non è vero che in Italia mancano medici. Ci sono, ma mancano nel servizio sanitario pubblico”.
E le cause principali del poco interesse a intraprendere la carriera del medico di famiglia, il sindacalista le individue principalmente “nel lavoro sempre più pesante, nei ritardi nell’organizzazione e, soprattutto, nella totale incertezza”. Quest’ultima chiama in causa direttamente il sistema e chi lo governa. “Chi incomincia ad esercitare questa professione lo fa con il ruolo unico, ovvero con l’obbligo di un monte ore pari a 38 settimanali, tra attività oraria e attività a ciclo di scelta, con progressiva riduzione dell’attività oraria rispetto all’aumento degli assistiti, sino al massimale di 1500 pazienti. Ma nessuno gli dice dove si devono fare queste ore, oltre all’attività di studio. Ecco una grande incertezza da superare in fretta”.
Regioni ricche, povere di medici
A questo si aggiunge la più volte lamentata eccessiva attività burocratica, non senza tralasciare “alcune lentezze sul fronte delle Aft, le aggregazioni funzionali territoriale su cui certe Asl segnano ritardi che impediscono la loro entrata in funzione impedendo un’offerta migliore ai pazienti e un lavoro migliore per i medici. Ci sono ritardi colpevoli che richiamano a responsabilità anche individuali”.
Tante le cause alla base di quella scarsa attrattività che la medicina generale soffre, soprattutto al Nord e, quindi, nella parte più ricca del Paese. Destinata a diventare sempre più povera di medici di famiglia.


