La nuova Torino di Bloomberg

La narrazione ufficiale, tessuta dalle istituzioni di governo, corre spesso su un tracciato parallelo a quella offerta dalla realtà, con cui difatti è destinata a non incontrarsi mai: gli eventi quotidiani, registrati dalle persone, non hanno nessun elemento in comune (anche minimo) con quanto viene scritto sui comunicati stampa che la politica lancia quotidianamente ai media.

L’esempio che più di altri raffigura il profondo solco che divide l’annuncio dalla realtà è la cosiddetta “fase di costruzione” del nuovo Piano Regolatore Generale della Città di Torino. L’atto che disciplina il futuro assetto urbanistico è entrato nel vivo della sua stesura, presentandosi ai cittadini come una sorta di Giano Bifronte (il dio romano noto per essere raffigurato con due volti) afflitto da un grave disturbo di personalità multipla.

Il redigendo Piano Urbanistico si mostra al pubblico nelle vesti di un atto che si nutre della sola partecipazione popolare. L’Assessore competente ha infatti costruito un percorso di incontri con i cittadini, tenuti nelle sedi circoscrizionali, affidandosi a mappe della città appese al muro, e a bandierine con cui indicare, sulle carte topografiche stesse, le speranze dell’uditorio (fermate TPL, uffici, servizi vari).

La popolazione intervenuta (piccola percentuale rispetto ai residenti negli otto ambiti circoscrizionali) ha potuto sbizzarrirsi a “disegnare” la metropoli che vorrebbe, ma non solo: l’Assessore, insieme al Presidente della Circoscrizione di turno, ha accolto ogni singolo cittadino desideroso di esprimere il proprio pensiero in merito, allestendo una sorta di confessionale dedicato esclusivamente all’ascolto.

La formazione del Piano Regolatore procede, quindi, senza intoppi percorrendo apparentemente la via del confronto inclusivo, nonché della trasparenza. Il racconto ufficiale, quindi, annuncia periodicamente all’intera comunità l’avvicinarsi della chiusura di un lavoro basato sulla condivisione, e, di conseguenza, incentrato sulla necessità di raggiungere l’ambizioso obiettivo finale: la realizzazione della città dei quindici minuti, ossia una metropoli dove gli abitanti possano raggiungere qualsiasi servizio in un quarto d’ora al massimo di camminata.

La Torino del futuro dovrebbe (in base al resoconto stilato dall’amministrazione) offrire quindi innumerevoli nuovi ambiti a favore della cittadinanza (dalle aree verdi, ai poliambulatori), insieme a un decentramento imperniato sulla valorizzazione delle Circoscrizioni, per cui molto simile a quello realizzato negli anni ’70. Uno scenario fantastico, bellissimo, ma purtroppo non immaginabile (neppure in minime porzioni) nello stato attuale di accentramento amministrativo in cui versa la città.

La seconda faccia del processo di redazione del nuovo PRG presenta invece tratti decisamente più realistici, svelando scelte già decise tramite il sostegno di istituzioni non facilmente avvicinabili dai “semplici” torinesi (gli stessi convinti di aver contribuito alla redazione del Piano piantando una bandierina colorata qua e là).

La Giunta comunale, secondo l’esposizione ufficial-riservata, ha stipulato un accordo molto stretto (nonché secretato) con la nota Fondazione Bloomberg: l’istituzione fondata dall’ex sindaco di New York (democratico dal patrimonio plurimiliardario). L’oggetto del contratto riguarderebbe la progettazione della nuova Torino, ossia consisterebbe in un forte sostegno alla compilazione del Piano Regolatore. L’aiuto fornito dal colosso statunitense richiederebbe il suo libero accesso ai dati sensibili dei torinesi, oltre a costose passeggiate per la città riservate ai professionisti dell’importante ente newyorkese.  

Naturalmente, sia la stipula che le azioni a questa susseguenti non hanno intercettato il voto del Consiglio comunale, il quale a tutt’oggi è in gran patre all’oscuro dell’iniziativa stessa (a parte qualche particolare rivelato faticosamente in seguito alla presentazione di atti ispettivi da parte della minoranza). Un “top secret” che raggiunge anche Mirafiori (a proposito della centralità delle Circoscrizioni nella “Nuova Torino”) dove i consiglieri locali sono venuti a conoscenza solo tramite i media del grande progetto di trasformazione urbanistica riguardante l’area ex Fiat (lotto compreso tra corso Orbassano e corso Settembrini).

Un tempo, nel vecchio capoluogo piemontese, era norma che l’ennesimo aiuto ai padroni del vapore passasse almeno per un voto consiliare; invece, nella città Bloomberg il tutto è avvenuto nel silenzio più assoluto. Decisioni masticate e ingerite, poi “narrate” ai media, senza essere sottoposte all’attenzione delle istituzioni decentrate.

Qualche torinese spera di aver messo le bandierine nel posto giusto, contribuendo così alla redazione di un buon PRG, mentre altrove i centri decisionali si sfregano le mani in attesa di una Torino meno solidale, ma più accogliente verso gli investitori stranieri e i businessmen (questi ultimi già tristemente noti a chi ha lavorato in fabbrica).

Il progresso spesso maschera pericolosi salti indietro nei secoli, mostrandoli al pari di riscatti sociali collettivi. Ritorni al passato che sovente ripropongono, alla società attuale, il sistema feudale: servi della gleba, valvassori e re.  A questo punto, tra una rievocazione storica e l’altra, non si può fare altro che sperare in una riedizione pacifica, in tempi brevi, della presa della Bastiglia.

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