Province ridotte pelle e ossa. La ciccia se la tiene la Regione
Stefano Rizzi 07:00 Venerdì 31 Ottobre 2025Mentre si aspetta (e spera) di mandare in soffitta da famigerata legge Delrio, Fedriga apparecchia un tavolo per mettere ordine tra enti. Gabusi: "Serve più omogeneità a livello nazionale". Ramella Pralungo (Upi): "A noi tante grane e pochi soldi"
Un’Italia a macchia di leopardo dove ciascuna Regione ha deciso a modo suo il rapporto con le Province del territorio e le materie da tenere per sé o da affidare agli enti territoriali. È l’ennesima ingombrante eredità della mai troppo famigerata legge Delrio che undici anni dopo la sua entrata in vigore e nonostante ripetuti tentativi di superamento continua a produrre i suoi effetti negativi.
Riforma mutilata
A fronte di molti tentativi i mandarla definitivamente in soffitta, tutti fino ad oggi falliti compreso l’ultimo incagliatosi su costi troppo elevati, la politica o più esattamente gli amministratori di entrambi gli enti provano a cercare una soluzione che se non del tutto, almeno in parte dovrebbe rimediare alla mancata riforma che porta il nome dell’allora ministro Graziano Delrio, tuttora esponente di rilievo dell’ala riformista del Partito Democratico.
Ma è un’iniziativa trasversale alle forze politiche quella avviata ieri con un tavolo unitario istituito dalla Conferenza delle Regioni con l’Upi, l’Unione Province italiane, con lo scopo dichiarato di ricostruire un quadro omogeneo delle competenze sui territori e riordinare il sistema di governo in ambito regionale a sostegno delle autonomie locali, a partire dai Comuni.
Problemi sul tavolo
A rappresentare l’organismo presieduto dal governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga l’assessore del Piemonte e coordinatore della commissione Affari Istituzionali Marco Gabusi, quello dell’Abruzzo Roberto Santangelo, Davide Baruffi, per l'Emilia-Romagna e Massimo Sertori per la Lombardia, mentre per l'Upi i delegati sono il presidente della Provincia dell'Aquila e vicepresidente Upi, Angelo Caruso, quello della Provincia di Biella Emanuele Ramella Pralungo, il presidente della Provincia di Monza Brianza Luca Santambrogio e quello della Provincia di Reggio Emilia Giorgio Zanni.
Un tavolo ingombro i problemi, quello che dopo l’avvio politico dovrà entrare nelle complesse questioni tecniche con un non facile lavoro di omogenizzazione, cercando innanzitutto di portare un po’ d’ordine tra le diverse situazioni che da Nord a Sud differenti interpretazioni e successivi aggiustamenti della riforma mutilata, qual è quella che originariamente avrebbe dovuto cancellare le Province, si sono sedimentate negli anni. “Ci sono Regioni come la Lombardia che di fatto ha riassegnato tutte le competenze alle Province e altre come il Lazio che ha tenuto tutto per sé”, ricorda il presidente della Provincia di Biella. “Serve almeno un livello minimo di uniformità”, aggiunge Ramella Pralungo, il quale guardando all’interno dei confini della sua regione ricorda che “il Piemonte qualcosa ha riallocato alle Province, ma il dato di fatto è che le materie con maggiori dotazioni finanziarie sono rimaste alla Regione e a noi hanno dato quelle con più grane e meno soldi”.
La polpa e l'osso
Una parte di Caccia e Pesca, per dire, con il fardello dei cinghiali che distruggono i raccolti, ma senza il denaro necessario per rimborsare gli agricoltori. E’ solo un esempio e che rimanda a decisioni prese quando al governo del Piemonte c’era ancora il centrosinistra, attento a tenere in pancia della Regione un’altra materia come i centri per l’impiego con la formazione “che porta tanti soldi e pochi problemi”, come aggiunge non senza una vena polemica Ramella Pralungo in passato al vertice dell’Upi piemontese. Va detto che questo assetto è stato poi confermato dalle successive amministrazioni guidate da Alberto Cirio, attente a tenersi la polpa e lasciano l’osso agli enti territoriali con successive ricadute sui rispettivi territori di cui hanno continuato a fare le spese anche i Comuni.
“Che dopo la Delrio le Province siano rimaste in mezzo al guado è cosa nota, così come i tentativi di superare quella legge non abbiano finora portato a risultati concreti. Di fronte a questa situazione è necessario mettere un po’ d’ordine”, spiega Gabusi attento a non sbilanciarsi sulle questioni piemontese e rinviando “a una valutazione da parte dei colleghi per le rispettive deleghe.
Da Chiamparino a Cirio
L’esponente della giunta Cirio ricorda come “rispetto al 2015 quando si decise la ripartizione delle competenze molte cose sono cambiate e anche di questo si dovrà tenere conto. Credo che proprio il profilo delle Regioni rispetto a quello delle Province debba guidare le scelte. Le prime quando devono esercitare funzioni amministrative, più pratiche per intenderci, fanno più fatica essendo il loro ruolo principale quello legislativo e programmatorio, mentre le Province – osserva l’assessore che in passato guidò proprio l’amministrazione provinciale di Asti – hanno su questi aspetti più attitudine”.
E se già solo all’interno dei confini di una regione, come accade in Piemonte, i problemi e pure le tensioni tra enti non sono poche, né di poco conto, figurarsi allargando lo sguardo all’intero Paese dove non esiste una situazione uguale all’altra. Nessuno si illude di arrivare a un quadro completamente omogeneo da Nord a Sud e neppure probabilmente sarebbe opportuno, “arrivare però a un accordo su una base nazionale che impegni tutte le Regioni e le Province – sostiene Ramella Pralungo – almeno a definire livelli minimi comuni sull’attribuzione delle materie è un obiettivo irrinunciabile”. E forse raggiungibile prima di arrivare finalmente a mandare la Delrio in soffitta. Chiudendo a chiave.


