TRAVAGLI DEMOCRATICI

Giustizia, a sinistra c'è chi dice Sì. Morando: "È una nostra riforma"

Mentre Schlein trasforma il referendum in un voto pro o contro Meloni, il fronte riformista e i “grandi vecchi” del Pd rivendicano la paternità della separazione delle carriere. Esposito: "Un primo passo verso un cambiamento più profondo"

Quel che accade nel Pd, o più esattamente nella sua maggioranza, con la ferrea posizione sul no al referendum sulla giustizia appare come la metafora politica di una condanna dopo plurime assoluzioni da parte dello stesso collegio giudicante. 

Individuato un colpevole da punire, nel caso il Governo di Giorgia Meloni e l’intero centrodestra, anche più di un ragionevole dubbio viene piegato alla bisogna, in una torsione che la linea di Elly Schlein non attenua neppure davanti a storia, memoria e coerenza.

Le giravolte

“Il tema della separazione delle carriere dei magistrati appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale". Questo si leggeva nel programma sulla giustizia nella mozione a sostegno di Maurizio Martina candidato alla segreteria del partito nel 2019. Tra i firmatari anche l’attuale responsabile Giustizia del Pd, Debora Serracchiani. Oggi, dopo la giravolta, è tra i più feroci avversari della riforma e convinti sostenitori del no alla consultazione popolare. Prima ancora, senza andare indietro fino alla riforma del processo che porta il nome del socialista Giuliano Vassalli, fu la bicamerale presieduta da Massimo D’Alema a mettere agli atti emendamenti della sinistra che prevedevano ruoli distinti dei giudici e dei pubblici ministeri.

Ma se l’ex governatrice del Friuli-Venezia Giulia ha ripudiato quella firma di sei anni fa, non pochi di coloro che la apposero insieme a lei non hanno cambiato idea e più di quanto la versione di Elly lasci intendere sono quelli che nel partito, nei suoi vari livelli dai vertici agli elettori, si rifiutano di piegare convincimenti e speranze allo scontro tra destra e sinistra. 

Per questi, naturalmente, è assai più semplice motivare una posizione coerente che, tuttavia, apre una profonda crepa all’interno del Pd su un tema per cui non è neppure possibile invocare scelte personali o di coscienza, come per esempio sulle questioni etiche. 

Il migliorista lib-lab

Insomma, c’è chi dice si e, come fa l’ex parlamentare Enrico Morando oggi alla guida del think tank riformista Libertà Eguale, rivendica alla sinistra l’anticipazione di questa riforma invitando per questo al voto favorevole. Giovane migliorista del Pci, anima liberal del Pd, il settantacinquenne Morando cui la mitologia parlamentare assegna l’attenzione del Divo Giulio ad ogni suo intervento in Aula, nella sua analisi pone in evidenza quello che è il vulnus di un confronto scivolato fin dall’inizio sulla contrapposizione tra schieramenti. Invece, osserva l’ex parlamentare piemontese, “nessuno dei principali protagonisti della vita politica sembra mettere in conto la possibilità di condurre il confronto sul merito del quesito referendario”, ovvero che il voto sia “risultato di un’attenta valutazione e non di una scelta politica fra pro e contro il Governo”. 

Riforma non perfetta

Morando, non nascondendo critiche ad alcune parti del cambiamento per cui si chiede il giudizio agli italiani, pone una domanda cui ha pronta la risposta: “La riforma che in queste ore viene approvata dal Parlamento, in un clima di reciproca, pregiudiziale chiusura, è perfetta? Tutt’altro: il pasticcio del sorteggio per la nomina dei togati dei due Csm, per quanto motivato dall’esigenza di fare i conti con un problema reale, la degenerazione correntizia, resta tale ed appare più figlio dell’approccio “uno vale uno” che di una destra liberale. C’erano e sono state proposte alternative più equilibrate. Sarebbe stato possibile tentare una soluzione concordata con il Pd che vota sì alla separazione, mentre la maggioranza toglie di mezzo il sorteggio. Ora però il referendum impone la scelta tra il sì e il no. Per me – conclude uno degli storici rappresentanti dell’area lib-lab della sinistra – la separazione delle carriere vale più, in positivo, del negativo sorteggio per il Csm” e quindi ecco più che motivato il Sì. 

Lo stesso Sì che arriverà da altri nomi di peso dei dem come il costituzionalista ed ex deputato Stefano Ceccanti e, ancora, l’ex dirigente del Pci Claudio Petruccioli il quale accusa: “il Pd ha dimenticato la sua storia. Parlava di separazione delle carriere senza urlare al fascismo”. 

Esposito: "Rompere un tabù"

Un fronte del Sì che facilmente potrà annoverare non pochi amministratori locali che il tema della giustizia, come si è visto con l’abolizione dell’abuso d’ufficio, lo vive quotidianamente e. spesso incappandone nelle distorsioni. E c’è chi di queste distorsioni ha pagato un prezzo altissimo, come l’ex parlamentare torinese del Pd Stefano Esposito, vittima di un’odissea giudiziaria durata anni e conclusasi con la sua assoluzione. La sua opinione è chiarissima: “La separazione delle carriere deve essere il primo passo verso riforme che intervengono in modo puntuale sui limiti, oggettivi, del nostro sistema. Voterò sì in questa ottica: rompere un tabù che in questo Paese vede la magistratura come un soggetto non responsabilizzato rispetto al suo agire e che non risponde, quasi mai, dei suoi errori”. 

Comitato Vassalli 

E se il Pd di Schlein cavalca la tigre referendaria contro il Governo facendo della lotta comune con l’Associzione nazionale magistrati con toghe famose come testimonial insidiate e infastidite dall’ex ex pm Antonio Di Pietro scherato a favore della riforma, a ricordare che la separazione delle carriere era (e forse è ancora) un tema proprio di questa parte politica, da due “senatori” dell’ala lombardiana del Psi di Bettino Craxi come Fabrizio Cicchitto (poi passato a Forza Italia) e Claudio Signorile. Hanno dato vita al “Comitato per il Sì Giuliano Vassalli”. 

Una scelta che è anche un messaggio alla sinistra allineata con le toghe, quella di intitolarlo al padre del nuovo processo penale, ma soprattutto al socialista che fece fuggire Sandro Pertini e Giuseppe Saragat da Regina Coeli dov’erano stati incarcerati dal fascismo. 

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