RETROSCENA

Iren, tensioni sulla governance. Torino apre il fronte emiliano

A Lavolta stanno stretti i panni da presidente "di campanello" di Iren Ambiente. Vuole più poteri e un ufficio nel quartier generale. Braccio di ferro con l'ad Bertolini. Si muove da solo o su mandato di Lo Russo? C'è chi sostiene che miri alla successione di Dal Fabbro

C’è maretta in casa Iren, quella galassia multiutility retta da equilibri sottili e delicati, dove logiche da campanile intrecciano politica, interessi delle amministrazioni locali e scelte industriali. Basta un soffio, un sussurro nei corridoi o una mossa azzardata per scatenare un terremoto che fa vacillare poltrone e alleanze. E stavolta, il fulmine porta la firma di Enzo Lavolta, il Beautiful del Pd torinese – soprannominato così dai compagni di partito per la sua proverbiale vanità estetica, da eterno ammiratore dello specchio – che da agosto sta seminando il caos nei piani alti di Iren Ambiente. È quanto circola in queste ore tra i pannelli del sontuoso stand allestito dal colosso energico a Ecomondo, la fiera internazionale italiana dedicata a sostenibilità ambientale, economia circolare e green economy che ha aperto i battenti questa mattina a Rimini.

Governance trimurti

Come noto, la governance del gruppo è fondata sul patto di sindacato stretto tra i tre principali Comuni azionisti: Torino, Genova e Reggio Emilia, che si spartiscono potere e cariche in un assetto proprietario anomalo, parcellizzato quando non apertamente lottizzato. Questo mosaico ha impedito finora di dare a Iren una solida e precisa identità aziendale, trasformandola in un'arena dove ogni business unit è feudo territoriale: energia a Torino, mercato a Genova, e l'ambiente con la ricca filiera dei rifiuti a Reggio Emilia.

I vertici riflettono questa “gestione da separati in casa”: Torino indica il presidente della holding, oggi Luca Dal Fabbro; Genova l’ad, Gianluca Bufo; Reggio Emilia il vicepresidente, Moris Ferretti. E a cascata, i sindaci designano ruoli incrociati nelle controllate, in un valzer che fino al 2027 dovrebbe tenere la barra dritta. Ma con Torino salita nelle quote e ormai primo socio, verosimilmente esprimerà l’amministratore delegato nel prossimo giro, aprendo scenari da risiko.

Sindaco mancato

In questo contesto, le mosse scomposte di Lavolta – come le definiscono nei corridoi emiliani, con malcelato fastidio – stanno agitando gli animi. Designato lo scorso agosto dalla capogruppo a presidente di Iren Ambiente, l’ex assessore della giunta Fassino e ex sfidante di Stefano Lo Russo alle primarie Pd del 2021, Lavolta si è insediato con un’agenda che sa di rivalsa. Il suo ruolo, sul piano statutario, è una presidenza “di campanello”: zero deleghe operative, solo rappresentanza e sorrisi per le foto di gruppo. Ma “Beautiful” non ci sta.

Fronte emiliano

Da subito, raccontano bene informati, ha ingaggiato un braccio di ferro con l’ad Eugenio Bertolini, espressione della cordata emiliana che fa capo a Cesare Beggi – l'ex sindaco Pd di Quattro Castella, storico segretario del Patto parasociale, che in veste di factotum dei rapporti istituzionali tra gruppo, soci pubblici e politica, ha sempre oliato gli ingranaggi con maestria. Beggi, che non le manda a dire, ha gestito pure i benefit per i vip: biglietti e ospitalità pagati da Iren per ospiti alle partite di Coppa Uefa della Juventus a Torino, da Stefano Bonaccini (allora presidente della Regione) al deputato Andrea Rossi.

Lavolta, invece, ha iniziato forte: ha preteso un ufficio tutto per sé nel quartier generale di corso Svizzera a Torino, roba che nessun predecessore aveva osato – neanche Tom Dealessandri, quand'era presidente di Iren Servizi ed “era sempre lì”, onnipresente come un’ombra vagava per i corridoi. Poi, la stoccata grossa: ha cercato di far fuori Elisa Boni, altra emiliana doc e ad di San Germano, la controllata con sede a Pianezza specializzata in raccolta, trasporto rifiuti e igiene del suolo. Nelle sue intenzioni, insufflato da ambienti sindacali vicini, c’era di piazzare al suo posto Giorgio Prato, oggi ceo di Egea Ambiente. Operazione stoppata sul nascere, ma che ha lasciato scorie radioattive: malumori, telefonate concitate e tanti rancori.

Pro domo sua?

Insomma, ogni pretesto è buono per creare problemi a Bertolini. A che pro? Si chiedono tutti, tra il preoccupato e l’incazzato nero. “Beautiful” lo fa per affermare il suo ruolo di presidente o c'è un disegno di potere più grande? Lo fa su mandato del sindaco Lo Russo, che ne ha sponsorizzato la nomina a costo di pestare i piedi alla collega di Settimo Torinese, la piddina Elena Piastra? Lei aveva lavorato sodo per far digerire Lavolta sul territorio, spingendolo verso la presidenza di Seta, la municipalizzata dei rifiuti a nord di Torino. Invece, giravolta: Lavolta ha preferito la poltrona “torinese” di Iren Ambiente, lasciando Piastra con un pugno di mosche e l’eco delle sue visioni ecologiche.

E c’è chi, nei meandri del gruppo, si spinge oltre: e se fosse una strategia per mettersi in mostra e fare le scarpe a Dal Fabbro? Ponendosi come potenziale successore al rinnovo del 2027, quando Torino potrebbe prendersi l’ad e ridisegnare la mappa. Possibile? Improbabile, anche se le ambizioni di Lavolta non hanno limiti. Accantonata l’idea di fare il sindaco di Torino – naufragata alle primarie con Lo Russo – e vedendo svanire il sogno di scalzare Paolo Romano, il dominus di Smat che a 82 primavere suonate non ha la minima intenzione di andare ai giardinetti, magari ci sta facendo sul serio un pensierino. Per ora, accumula cariche e dissemina problemi come briciole di Hansel e Gretel, ma qui la foresta è fitta di trappole politiche.

La marcia del gambero

Intanto, la multiutility va come il gambero: dopo i fasti di Massimiliano Bianco (ad dal 2014 al 2021), che aveva portato risultati stellari e fatto decollare Iren tra i campioni del comparto, sembra aver innestato la retromarcia. Da lì in poi, dalla presenza svogliata di Gianni Armani, che appena ha potuto ha tagliato la corda, a quella tragica di Paolo Signorini, finito agli arresti per le vicende del porto di Genova, Iren pare ingessata in una gestione frammentata, con business unit divise per fazioni, e un gruppo che arranca nonostante i numeri semestrali positivi del 2025 (ricavi +29%, ebitda +14%, utile netto +24%). I sindaci di Torino, Genova e Reggio applaudono la continuità, ma sotto sotto ribollono. Nell’ultima riunione, meno di un mese fa a Piacenza, Stefano Lo Russo, Marco Massari e la neo sindaca della Lanterna Silvia Salis hanno sbandierato “unità di intenti”, ma con Torino in rampa di lancio, il risiko è appena iniziato.

Per chi suona la campana?

Nei corridoi emiliani, si ride amaro: "Lavolta è come un attore di soap opera, entra in scena e rovina il copione". A Reggio, Beggi stringe i denti, Bertolini conta le pedine, e a Torino Lo Russo osserva, con il solito ghigno. Iren, multiutility da 3,27 miliardi, merita di più di queste beghe da cortile. Ma in questa guerra di campanili, per parafrasare Hemingway non bisogna chiedere per chi suona la campana. Perché, prima o poi, suona per tutti.

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