Il caso Abet svela le illusioni 

Gentile Direttore,
come cittadino a lungo abitante a Bra, prima ancora che come giornalista economico, sto seguendo la vicenda degli esuberi occupazionali in Abet Laminati con un pensiero anche affettivo alle maestranze lavorative e a quanto la gloriosa azienda, simbolo del laminato plastico, ha rappresentato per il sostentamento di una parte della mia famiglia nel corso dei passati decenni, quelli del "vero boom" economico.

Quanto sta succedendo a Bra, collegato in parte a mutati scenari competitivi internazionali dove o cala il costo del lavoro o cala quello delle materie prime ed energetiche (che invece continuerà a salire), e chi come lo scrivente vive all'estero ben lo sa in presa diretta, è anche la fine di un modello paradigmatico che già è stato sperimentato a Torino fra illusioni iniziali e disillusioni finali: la presunzione che il turismo, pur importante, fosse il surrogato risolutivo di tutti mancati interventi per innovare la politica industriale dal livello nazionale a quello comunale.

Non era infatti pensabile che un gruppo industriale, in grado di occupare 600 famiglie dirette e altre centinaia in modo indiretto, potesse essere controbilanciato, anche solo in parte, dal pur importante sviluppo del settore turistico ricettivo. Forse non lo si è mai veramente pensato, ma lo si è sperato, ma anche sperare è un peccato della politica nazionale e locale se non è suffragato da evidenze reali o da intenti riformatori in grado di abbracciare non più solo a spicchi i capitoli infrastrutturali, energetici, tariffari e burocratici.

Il settore del turismo resta un bene senza dubbio da proteggere e da rafforzare, ma non è il rimedio alla totale o parziale deindustrializzazione, anzi rischia di esserne la foglia di fico.

Il capitolo della internazionalizzazione, che viene indubbiamente favorito anche dal turismo, deve essere utilizzato per portare il nostro prodotto industriale su mercati nuovi in espansione dove oggi non esiste ancora come marchio al grande pubblico. La politica comunale deve concorrere a favorire ciò attraverso buone relazioni istituzionali e interpersonali. Non sarà un punto risolutivo ma sarà comunque un primo inizio di inversione.

Va inoltre evidenziato che tale situazione di conclamata crisi industriale si innesta su una realtà, come quella braidese, nella quale il radicamento delle storiche istituzioni bancarie cittadine è in gran parte venuto meno, e questo potrebbe - ma ci auguriamo di no - avere dei contraccolpi sulla reattività delle politiche locali rispetto a interventi invece necessariamente immediati di sostegno al reddito lavorativo e familiare e al welfare. I prossimi imminenti sviluppi ci daranno risposte anche in tal senso.

Senza dubbio - al confronto anche con altre realtà della Granda - la vicenda braidese pone un guanto di sfida epocale alla prossima amministrazione comunale e a quanti si candidano alla stessa, perché la presa d'atto della non-autosufficienza del settore turistico, e di politiche industriali e bancarie locali tutte assolutamente da scrivere da zero (non dimentichiamo la grande occasione persa tra fine anni Novanta e inizio anni Duemila di creare il polo industriale unitario del laminato plastico quando era chiaro che le proprietà dei due grandi gruppi del settore si stavano allontanando dal baricentro cittadino), dovrà animare il dibattito elettorale non solo dei candidati municipali ma anche di quelli regionali di origine braidese se ve ne saranno.

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