Non sottovalutare il voto dell'Umbria

Chiunque abbia avuto la possibilità di seguire più o meno direttamente le vicende che hanno caratterizzato la politica in Umbria aveva messo nel conto che le elezioni regionali si sarebbero concluse con una sconfitta. L’inchiesta sulla sanità che ha costretto la giunta Marini a dimettersi è stato solo l’ultimo episodio, il più grave naturalmente.

La destra in questi anni aveva già conquistato Perugia, Orvieto, Spoleto, Terni, Todi e Foglino, comuni storicamente governati dalla sinistra. Il voto per la Regione ha completato questa parabola.

Si è trattato di una sconfitta, ancorché annunciata, pesante come ci dicono i numeri perché un conto è perdere con un distacco di alcuni punti; altra cosa e perdere con un distacco di 20. L’Umbria è stata per cinquant’anni un Regione simbolo; ì la sinistra continuava a vincere anche quando nel resto del Paese perdeva. E vinceva per due motivi: per la profondità del suo radicamento sociale e territoriale e per la cultura di governo che ha saputo esprimere. Ricordo un grande presidente della Regione, il comunista Piero Conti che governò  l’Umbria nel periodo 70/76.

Queste due condizioni in Umbria sono venute meno.

A queste difficoltà, emerse in occasione delle tornate amministrative precedenti e amplificate dalla vicende che hanno coinvolto la giunta regionale, si è cercato di far fronte estendendo pedissequamente livello regionale l’alleanza Pd-5stelle-Leu. È  stato ed è un errore perché posta in questi termini si configura come un’alleanza per il potere e in molte realtà locali appare come una forzatura “politicista”. Lo era negli anni in cui Dc-Psi-Pri e Psdi si candidano a governare insieme Comuni, Province e Regioni. Lo è anche adesso perché prescinde dai processi politici reali che vanno fatti maturare, non imposti dall’alto.

Nel caso dell’Umbria poi si è  cercato di dare una vernice di “civismo” ad una alleanza che era tutta politica.

Il voto, come sempre capita, ha però una valenza più generale ed esprime, indiscutibilmente, una critica o comunque un disagio nei confronti della politica del nuovo governo. Troppe polemiche e troppi distinguo, troppi tirarsi fuori  che contribuiscono a rendere ancora più accidentato il cammino di una alleanza che mette insieme Pd, Leu e 5 Stelle dopo anni di dure polemiche e in cui troppi sono gli elementi di continuità rispetto alle politiche dei governi precedenti. Quel che è certo è che, forse anche per ragioni oggettive, il nuovo governo non ha rappresentato un valore aggiunto capace di condizionare in positivo l’esito delle elezioni.

La destra esce da questa tornata elettorale più forte e io mi convinco sempre di più che Salvini abbia deciso di “far saltare il banco” per avere le mani libere e non trovarsi nella condizione di dover giustificare l’impossibilità di tenere insieme flat tax e blocco dell’aumento dell’Iva. È bene che a sinistra si prendano subito le contromisure necessarie.

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