Piano Bridge, una buona idea

Mi ha incuriosito tanto il Piano Bridge presentato da un gruppo di economisti e giuristi, e presieduto dall’ex alto dirigente del Tesoro​ Fabrizio Pagani: è un programma oneroso e ambizioso, ma di estrema semplicità. Il Piano Bridge consiste banalmente in una straordinaria e ingente erogazione di credito, con garanzia dello Stato, agli operatori economici.

Per consentire la ripresa, sostengono i promotori del piano, bisogna mettere le imprese grandi, medie e piccole, le partite Iva, i professionisti, le cooperative e il Terzo Settore nella condizione di superare il periodo più grave dell’emergenza, individuato in tre mesi, con dei prestiti da parte delle banche garantiti dallo Stato e di importo pari a massimo tre mesi di fatturato del 2019. Semplice: guadagnavi tot, non lo guadagni più, le banche ti prestano l’ammontare equivalente e lo Stato garantisce, mentre tu azienda o individuo,​ senza bisogno di presentare garanzie reali o fideiussioni personali, senza burocrazia canaglia e con l’unico vincolo di mantenere i livelli occupazionali, non paghi un euro di interessi e cominci a rimborsare in cento rate a partire dal 2022.

Una proposta seria, attuabile, intelligente che pecca solo di ottimismo sulla tempistica della soluzione della crisi umanitaria e sanitaria, tre mesi, ma che se non fosse troppo distante dalla realtà sarebbe certamente in grado di fornire agli italiani la liquidità necessaria per ripartire e per riportare il prodotto interno lordo ai livelli del 2019, a patto che il resto del mondo non vada a rotoli.

È probabile che esistano altri progetti analoghi al Bridge, altrettanto brillanti. Ciò che manca è sempre la stessa cosa: una leadership politica in grado di immaginare soluzioni alternative a quelle canoniche, possibilmente non riconducibili ad aprire le porte del nostro paese ai regimi autoritari dell’est in cambio di nulla e nemmeno a perdere tempo col denunciare le manine che diffondono via Whatsapp le bozze di decreto.

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