Per governare occorre competenza
Mino Giachino* 10:47 Mercoledì 13 Maggio 2020 0
Un detto spagnolo dice che “governare non è come asfaltare” cioè è molto più difficile e complesso. Nel documentario Rai sui cento anni dalla nascita di Carlo Donat-Cattin, uno dei migliori uomini di governo del dopoguerra, le immagini ci fanno vedere una parte della messa funebre celebrata da mons. Silvestrini che nella omelia disse: “Donat-Cattin guardava alla speranza ma si qualificava nella risposta concreta della politica, cioè dato un problema era più capace di altri a individuare la risposta del governo”. Ho avuto l’onore di lavorare sei anni con lui e ho avuto mille dimostrazioni di quanto disse mons. Silvestrini. Fu una scuola unica.
Il boom economico della fine degli anni ’50 non fu un miracolo ma fu il risultato di tanti provvedimenti presi da governi che avevano tante qualità. Politica dell’acciaio che sviluppò la manifattura, l’auto, gli elettrodomestici, la riforma agraria che formò milioni di coltivatori diretti, le case Fanfani, le autostrade e i trafori autostradali alpini, il fisco amico di Vanoni, il turismo della Romagna.
La qualità del governo la potete vedere nell’andamento del Pil, la cui crescita dipende sicuramente da una accorta conduzione complessiva del sistema economico e dei fattori di sviluppo. Conoscere il funzionamento del sistema economico di un Paese, conoscerne i pregi e i limiti, conoscere la composizione del Pil consente ai governanti di capire meglio l’influenza sull’economia del proprio Paese dei provvedimenti che si assumono e di capire gli effetti negativi dei ritardi. Ecco perché lo studio della storia economica di un Paese è importante tanto quanto lo studio della storia politica. Quanti sanno quant’era il Pil del nostro Paese prima della costruzione del Primo Traforo ferroviario al mondo, il Frejus? Quando Cavour vide il porto di Genova capì che la presenza dell’arsenale militare ne ostacolava lo sviluppo. Spostò l’arsenale a La Spezia dando un futuro a quella città con la nascita dellìindustria militare (Oto Melara) e consentì al porto di Genova di ampliare i suoi spazi commerciali. Senza trafori autostradali alpini come avremmo potuto esportare auto, elettrodomestici e prodotti tessili di cui eravamo leader di mercato? Secondo la Confcommercio negli ultimi vent’anni abbiamo perso 150 miliardi di Pil a causa del calo degli investimenti.
Questi mesi di lockdown sono illuminanti. Il ritardo del Governo nel capire la gravità del virus ha consentito a questi di contagiare migliaia di persone che a loro volta ne hanno contagiate altre migliaia. Chi ha consentito che si giocassero le due partite di Champions dell’Atalanta a Milano e a Valencia, entrambe focolai di contaminazione? Prefetti e quindi Ministero Interni, sindaci ecc. Quanto ci è costata la sottovalutazione del costo economico del Coronavirus? Il primo marzo il Governo pensava a un decreto di 3,6 miliardi di euro e nello stesso giorno su “Lo Spiffero” veniva pubblicato un mio pezzo in cui parlavo di un conto salato del virus stimando un danno tra i dieci e i venti miliardi.
Il nostro Governo non ha assolutamente immaginato o capito i pesanti effetti economici del lockdown sul Pil, sulle entrate dello Stato e gli effetti ancor più pesanti per un sistema economico come quello italiano la cui base è costituita da milioni di piccole aziende. Non conoscendo (il motto di Einaudi era “Conoscere per decidere”) il nostro motore economico e non avendo la competenza per aggiustarlo (mentre mio fratello è in grado di riparare qualsiasi motore io guarderei il cielo…) sono stati scritti decreti insufficienti e con modalità di attuazione troppo lunghi, al punto che oggi a tre mesi dall’inizio della crisi economica molte aziende non hanno ancora ricevuto nulla.
Se nella crisi del 2008-2009 io avessi lavorato con decreti simili il Paese sarebbe stato bloccato dallo sciopero dei Tir. Invece in quegli anni siamo stati l’unico Paese in Europa a non avere blocchi e nel 2010 quando Cofferati proclamò lo sciopero generale io sminai la vertenza con i trasportatori firmando l’accordo il 17 maggio 2010.
È l’uomo di governo che deve aver chiaro l’intervento da fare, ne scrive la bozza di decreto, i burocrati lo completano con i riferimenti di legge o normativi, ma il decreto dimostra se hai capito la situazione e fa capire le finalità che vuoi raggiungere. Se l’uomo di governo non conosce la materia sente un po’ di pareri e si fa scrivere i decreti dal burocrate.
Un detto famoso francese dice che “l’intendenza seguirà”. L’intendenza è la burocrazia. Se la burocrazia non segue va a casa. Chi deve avere chiara la strada da percorrere e la politica, la burocrazia procura gli equipaggi, ma chi guida è l’uomo di governo come un generale guida l’attacco e modifica la tattica secondo gli avvenimenti in corso. Se tutti sapessero che 1/3 del nostro Pil arriva dalle esportazioni probabilmente investiremo di più nei porti e nei trasporti.
Così come nella vita tutti non possono fare tutto, così in politica tutti possono fare i parlamentari, pochi sono in grado di governare. Prima il nostro Paese recupera la capacità di governare e prima recupereremo posizioni nella competizione economica mondiale, nell’interesse del bene comune, il lavoro e la salute.
*Mino Giachino, Sì Tav Sì Lavoro