Così non c'è giustizia in Italia

In Italia è da molto tempo (da Mani Pulite) che si assiste, con sentimenti che si alternano tra rassegnazione, imbarazzo e preoccupazione, a come e da chi viene amministrata la Giustizia. L’intervento del procuratore della Repubblica Nino Di Matteo, in diretta allo show “Non è l’Arena” condotto da Massimo Giletti, è, se ce ne fosse bisogno, l’ennesima conferma dello stato “paludoso” in cui versa la nostra magistratura. Il dottor Nino Di Matteo, intervenendo nella trasmissione di Giletti, ha polemizzato con il ministro della Giustizia Alfonso Buonafede circa la sua mancata nomina (due anni fa!) a capo del Dap (Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria), dichiarando che tale nomina non è “andata in porto” perché “ostacolata” da alcuni detenuti per mafia che, con la sua nomina, avrebbero peggiorato le loro condizioni di carcerazione. A prova della sua tesi accusatoria verso il ministro, il procuratore ha messo “sul piatto mediatico” le intercettazioni eseguite su alcuni capi mafia carcerati.

Purtroppo la querelle Bonafede-Di Matteo oggi risulta superata dopo aver sentito e letto (dalla intercettazione sul pubblico ministero dottor Palamara) l’esegesi motivazionale con cui è nata l’inchiesta per sequestro di persona sull’ex ministro degli Interni Salvini che, per quanto poco simpatico e spesso “fuori dalle righe”, in un Paese che si dice “democratico”, dove dovrebbe vigere lo “Stato di diritto”, non può essere sconfitto attraverso l’arma impropria della magistratura. Qui sono in gioco le pietre angolari della democrazia e pare che, a tutti i livelli istituzionali e di informazione, non ci si riesca a rendersene conto… Nessuna iniziativa ispettiva del ministro di giustizia, nessuna convocazione del Csm da parte del presidente della Repubblica, i media estremamente prudenti.

Delle molte e compromettenti intercettazioni del pm Palamara basta e avanza quella con il capo della Procura di Viterbo Paolo Auriemma che diceva: “…mi dispiace dover dire che non vedo dove Salvini veramente stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro degli Interni interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa centri la procura di Agrigento. Questo dal punto di vista tecnico al di là del lato politico. Tienilo per te, ma sbaglio?”. Così dissertava, confidando nella “segretezza” di Whatsapp, il capo della Procura di Viterbo Paolo Auriemma al collega pm Luca Palamara (già Presidente della Asm e membro del Csm il cui presidente è Sergio Mattarella) che gli rispondeva : “No, hai ragione, ma oggi bisogna attaccarlo”.

È chiaro che alla luce di fatti gravissimi, come si evince da quanto risulta dalle intercettazioni del pm Luca Palamara, fatti che mettono in seria discussione l’appartenenza dell’Italia ad un “compiuto” Stato di diritto, non sia sufficiente una riforma del Csm ma sia indispensabile una rifondazione (o meglio una fondazione) di tutto il sistema giudiziario a partire dalla introduzione della separazione delle carriere tra magistrati requirenti e magistrati giudicanti (come esiste in quasi la totalità dei Paesi democratici del mondo) per poi definire quale deve essere e come deve essere l’attività professionale del procuratore della Repubblica, con l’obiettivo che possa svolgere al meglio le attività di indagine senza danneggiare cittadini che, sino a sentenza di un giudice, sono innocenti e devono essere tutelati.

Si deve, senza indugio, mettere fine alle “indiscrezioni” giornalistiche: se una informazione impropriamente viene divulgata si deve stabilire chi direttamente od indirettamente è responsabile nel tutelare quella informazione. Qui parliamo di “professioni”, che quando sbagliano tolgono ai cittadini il bene più prezioso: la “libertà”! Professioni che generano anni di sofferenze ad indagati e loro congiunti (famigliari, amici). In Italia i processi hanno tempi “biblici”. Quanti indagati scelgono, pur innocenti, il patteggiamento per non buttare al vento anni di sofferenza e denaro? Denaro che, anche in caso di assoluzione (sino alla Cassazione), non gli sarà riconosciuto dallo Stato. Se il procuratore della Repubblica, che rappresenta lo Stato italiano, per qualsiasi motivo conduce indagini che portano alla condanna di innocenti, lo Stato deve intervenire in tutte le sedi risarcendo lo sventurato “innocente” e ripagandolo di tutte le spese da lui sostenute per la propria difesa. Di fronte alla nostra “giustizia” non è assolutamente ammissibile sostenere che se è pur vero che esistono delle “mele marce” la grande maggioranza dei magistrati fanno bene il loro lavoro, questo è senza dubbio vero e sacrosanto, perché sarebbe parimenti errato e abnorme sostenere che in fin dei conti le mafie hanno colpito solo una piccolissima parte della popolazione in termini percentuali e quindi il problema è irrilevante.

Ci sono settori dove un errore su 10.000 non è ammissibile: l’amministrazione della giustizia, al pari della medicina, è senz’altro uno di questi. Per meglio comprendere di cosa si sta parlando è indispensabile conoscere anche per sommi capi cosa stabilisce la nostra Carta Costituzionale in tema di giustizia. Il Titolo V della nostra Carta Costituzionale (articoli 101,102,104) stabilisce: Articolo 101: La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge. Che cosa significa? I giudici devono operare solo in nome della legge e la legge è definita dal popolo: il popolo è costituito da cittadini che con i loro voti eleggono i membri del parlamento quali propri rappresentanti, il parlamento, ricoprendo la funzione legislativa, approva ed emana le leggi, i giudici, che ricoprono la funzione giurisdizionale, devono operare per il rispetto di tali leggi. Ma perché? Per i giudici non esiste l’obiezione di coscienza: anche se non sono d'accordo con una legge, la devono comunque applicare nei casi e nelle forme prescritte. Qualora un giudice nutra dubbi sulla costituzionalità della legge, ha la facoltà di sollevare una questione di legittimità davanti alla Corte Costituzionale.

Articolo 102: La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi, presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione dei cittadini estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. Che cosa significa? I giudici ordinari sono “organi pubblici posti in posizione di indipendenza e imparzialità, dotati di poteri decisori ed idonei a tradurre la volontà della legge in un provvedimento finale, destinato ad assumere l’autorità di cosa giudicata”, praticamente tutti quelli istituzionalmente collegati al Csm (Consiglio Superiore della Magistratura); i giudici straordinari vengono istituiti dopo che il verificarsi del reato e non sono ammesso dalla Costituzione; i giudici speciali sono “organi competenti a formulare un giudizio esclusivamente su determinate materie” come i tribunali militare, tribunali amministrativi regionali, Consiglio di Stato e Corte dei Conti, Corte Costituzionale. L’articolo, quindi, sottolinea che solo i magistrati ordinari sono le figure deputate a esercitare la funzione giurisprudenziale. Inoltre si prevede la partecipazione del “popolo” all’amministrazione della giustizia: ciò avviene nelle Corti di assise (preposte a giudicare i reati più gravi) composte da due giudici e da sei cittadini scelti tramite sorteggio. Perché?

Il potere giudiziario è uno dei tre poteri fondamentali dello Stato insieme all’esecutivo e al legislativo. La grande differenza, però, è che i magistrati, che esercitano il potere giudiziario, non sono eletti come i parlamentari (potere legislativo) né sono “a tempo” (come i membri del Governo): sono dipendenti pubblici. I magistrati non elaborano le leggi, ma le applicano. Il loro compito è estremamente difficile e richiede grande competenza e capacità che solo lo studio e l’esperienza possono dare.

Articolo 104: La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il Consiglio elegge un vice-presidente fra i componenti designati dal Parlamento. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale. Che cosa significa?

L’art. 104 sancisce che il potere giudiziario è indipendente “da ogni altro potere”. Tale indipendenza si fonda sul principio della separazione dei poteri. L’autonomia della magistratura è garantita dal Consiglio superiore della magistratura, che è presieduto dal presidente della Repubblica ed è composto da 16 membri togati (eletti dai magistrati ordinari fra gli appartenenti alle diverse componenti della magistratura) e da 8 membri laici (eletti dal parlamento in seduta comune tra i “professori ordinari di università in materie giuridiche” e gli “avvocati dopo quindici anni di esercizio”). Inoltre, fanno parte del Consiglio il primo presidente e il procuratore generale della Corte suprema di Cassazione (l’organo che rappresenta il giudice di ultima istanza in Italia). Ma perché?

La composizione del Consiglio superiore della magistratura risponde sia alla necessità di essere collegati al popolo, mediante la partecipazione del Parlamento in sede di elezione di un terzo dei propri membri, sia alla volontà di ribadire la propria indipendenza, tramite l’elezione dell’altro due terzi direttamente dai magistrati stessi. Ciononostante, la composizione del Csm è spesso oggetto di discussioni. Da un lato si parla di un’interferenza della politica per via dei membri di origine parlamentare. Dall’altro si parla di politicizzazione della magistratura, perché i magistrati eletti appartengono a correnti che esprimono posizioni diverse sul rapporto tra i poteri dello Stato e la soluzione dei problemi del mondo della giustizia.

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