La politica non cavalchi la paura

Il vivace dibattito iniziato in Piemonte con la presentazione dell’elenco dei cento siti possibili per la costruzione del deposito nazione di Sogin si è legato al proliferare di più o meno organizzati comitati locali accumunati dal comune e ferreo “No” a tale eventualità. Le ultime settimane si sono popolate di comunicati stampa, messaggi e video su social, striscioni, servizi televisivi: espressioni di una comune retorica che lega il progetto alle immagini apocalittiche di disastri ed inquinamento mortifero. Vengono descritti futuri ipotetici che fanno del Piemonte post-deposito una landa simile alla Chernobyl post-disastro riattualizzata dalla serie televisiva di due anni fa. Un dibattito scandito dalla paura; una paura dirompente, sorda ed esasperata.

Ad un anno dallo scoppio della pandemia, non si può non contestualizzare questo sentimento nel particolare momento che viviamo; un anno di difficoltà, incertezza, di lacerazione della socialità e soprattutto della già scarsa fiducia verso le istituzioni che a partire dagli anni Ottanta e dai rilevamenti di Robert Putman hanno visto sempre più venire meno il legame ed il senso di partecipazione tra cittadini ed istituzioni. In questo momento, quindi, nessuno può stupirsi se di fronte ai report di Sogin il cittadino comune risponde con sospetto e preoccupazione; timore soprattutto che venga nascosto qualcosa di cruciale che attiene a rischi sconosciuti e mortali. Più triste è il ruolo che oggi stanno giocando le istituzioni.

La paura sembra la tigre che molti vogliono cavalcare e seguire anziché domare. Vedo troppi amministratori locali pronti a partecipare e promuovere comitati del No; rappresentanti protesi a difendere un territorio senza l’accortezza di cercare di comprendere, valutare, discutere cercando di rispondere alla paura con la consapevolezza. Come pochi anni fa capitò con la crisi dei migranti, ecco di nuovo come, sicuramente in buona fede, gli amministratori con le loro azioni protese a dar voce al sentire comune; si trasformano in megafoni e moltiplicatori di paura, impoverendo una comunità non tanto di una possibilità di sviluppo data da un deposito, quanto di una possibilità di comprendere, capire, pianificare, immaginare ed impegnarsi nuovamente e coralmente verso il proprio territorio sapendo andare oltre al mito dello status quo. In questa fase, l’opposto di un Comitato per il No non è un Comitato per il Sì, ma l’impegno ad aprire una discussione. Questo non è stato fatto e la politica, anche quella dei nostri piccoli comuni, rischia d’essere colpevole di questo. Dato che non stiamo vivendo un’emergenza ma l’inizio di un processo c’è ancora però tanta speranza in un miglioramento.

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