La nostra agenda per Draghi

Egregio Direttore,
siamo lavoratori e pensionati esponenti della Destra nazionale e sociale di Cuneo, e in vista di qualcosa di nuovo per il lavoro e gli investimenti produttivi da parte del governo a mezzadria Pd-5Stelle-Lega-FI, avanziamo alcune concrete considerazioni. Riguardo al lavoro, tenuto conto che nel 2020 sono andati perduti 664.000 posti di lavoro e altre centinaia di migliaia sono a rischio, la cassa integrazione deve essere finanziata per tutti i lavoratori per l’intera durata del Covid, e il blocco dei licenziamenti deve avere pari durata per tutte le aziende. Non si può fare altrimenti, se non si vogliono fare esplodere mine sociali. Se non c’è nessuna grande associazione di impresa che contesta nei fatti gli ultimi governi, ciò vuol dire che qualche sostegno consistente in qualche modo già lo ottiene e le permette di puntellare questa emergenza. Da tempo la Confindustria richiede una riforma degli ammortizzatori sociali, ma non entra nei dettagli concreti. Finalmente Cgil e Uil hanno avvertito la necessità di coprire con le indennità tutte le forme di lavoro dipendente e autonomo, includendo anche i settori maggiormente colpiti del turismo, dei servizi, dello spettacolo e della cultura. Ma il vero problema è decidere di intervenire, e di farlo al più presto e di avere la competenza e il potere necessari per affrontare i problemi sul tappeto.

Inoltre, è necessaria una rimodulazione perequativa in senso progressivo di aliquote e scaglioni fiscali per i lavoratori dipendenti e i pensionati. Interventi a sostegno dei nuclei familiari e alle giovani coppie, e riscoprire appieno i centri pubblici per le assunzioni. Dubitiamo che la repubblica dei partiti conceda al governo Draghi di porre mano a queste riforme e realizzarle. Riguardo agli urgenti investimenti produttivi il governo Draghi deve assumere scelte mirate per ridurre l’imperante e dilagante burocrazia in ogni settore. La burocrazia è la diretta conseguenza delle scelte politiche, dell’incapacità dirigenziale, di assenza di precise direttive governative, di mancata assunzione di responsabilità da parte dei ministri, di inerzia dei partiti. La burocrazia nel vuoto o nell’incompetenza politica si autogenera e si sovrappone a ogni altro potere accentrando, bloccando, deviando o rallentando ogni progetto e iniziativa. Il governo deve instaurare controlli sulle applicazioni.

La politica si prende in giro e l’opinione pubblica viene ingannata se vengono disposti provvedimenti normativi e amministrativi, ma i ministri responsabili non riescono poi a disporre i relativi decreti attuativi (e sono centinaia). Tenendo conto che da decenni in Italia non si è stati in grado di indicare una politica industriale, la prima fase di rilancio produttivo può passare attraverso le grandi infrastrutture e quelle digitali e la Sanità. Avviare finalmente la riforma della giustizia civile per sbloccare l’attività di miriadi di cantieri e dare certezza di giudizio. Sono centinaia le opere censite dall’Ance, che riunisce le imprese edili italiane, che non riescono a lavorare, con intuibili conseguenze per l’occupazione. A questo proposito è anche necessario disporre più “mani libere” per combattere la corruzione e le infiltrazioni mafiose; qualcosa di più e di diverso degli “arresti domiciliari”.

Un piano vaccini su vasta e intensa scala è essenziale per riaprire larghi settori produttivi e determinare la ripresa dei consumi. Se non si dimostra la volontà di intervenire e non si fissano obiettivi precisi, gli italiani non dimostreranno fiducia nelle ripresa, e la grande quantità dei risparmi privati, con l’aggiunta dei capitali stranieri, non verranno immessi attivamente nel nostro sistema economico. Non si può pensare che per le prospettive della nostra economia sia sufficiente attivarsi nel tempo e nei livelli di crescita al Piano europeo. Perciò è necessario puntare prioritariamente a rafforzare le piccole imprese, il reale modello economico italiano.

Infine, si trascinano da anni le vicende clamorose dell’Ilva di Taranto (10.700 dipendenti), dell’Alitalia (altri 10.700 dipendenti che si devono ridurre a 5.000), della Whirpol di Napoli (350 lavoratori). Tanti anni fa un capo del governo che capiva e affrontava le situazioni finanziarie e occupazionali a seguito della grave depressione mondiale, dichiarava in Senato: “Qui non è il caso di levare la discussione se il Governo debba intervenire o non debba intervenire. Quando l’impresa privata varca certi limiti, non è più un’impresa privata, ma è un’impresa pubblica. Sarà privata l’impresa dell’artigiano, ma quando un’industria, un istituto di credito, un commercio, una banca controlla miliardi e dà lavoro a decine di migliaia di persone, come è possibile pensare che la sua fortuna o la sua sfortuna sia un affare personale del direttore dell’azienda o degli azionisti di quella industria(punto di domanda) No. Essa interessa ormai tutta la Nazione; e lo Stato non può straniarsene. Seminerebbe delle rovine”.

Certo ci sono le regole dell’Europa, ma in situazioni eccezionali il braccio di ferro si impone. Grazie per l’attenzione.

*Paolo Chiarenza, Guido Giordana, Luca Ferracciolo, Denis Scotti, Fabio Mottinelli, Mario Pinca, Paolo Barabesi, Ivanoe Lai, Mario Franchino, Emanuela Corti

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