Un Paese che non ti fa crescere

Cara redazione dello Spiffero,
scrivo per riportare l’esperienza di un trentenne alle prese con la complessità economica e burocratica di un Paese che ancora una volta si conferma non essere terreno fertile per i giovani che vogliono crescere. Trasferitomi undici anni fa a Torino, dopo aver studiato, esercitato la libera professione ed essermi guadagnato un ottimo lavoro come funzionario di ente locale, ho voluto porre radici in questa città, dove ormai si trova tutta la mia vita. In pieno spirito torinese, da buona formichina, mi sono autofinanziato completamente, usufruendo del progetto pilota dei prestiti d’onore della Fondazione Agnelli. Così, dopo l’estinzione di questi prestiti, grazie al buon lavoro stabile (già un grande passo di questi tempi), e con il supporto economico della mia famiglia, ho voluto dare inizio a qualcosa di completamente mio: una casa di proprietà.

Siamo a gennaio. Cerco, e velocemente trovo. Il mercato è abbastanza propizio, si sa. Dopo un isolamento fiduciario di un mese, inizio appena possibile le pratiche di richiesta per un mutuo: un fiorire di “ma non ci saranno problemi!”, “sei giovane, lo Stato dà anche garanzie aggiuntive”, e via discorrendo. Prima sorpresa: quasi nessuno applica la garanzia dello Stato per mutui al 95/100%. Soprassiedo, ho la fortuna di poter anticipare io un buon 20%. D’altronde ho scelto una casa adeguata al mio budget: a Torino spendere 140 mila euro per un 90mq ristrutturato da poco non è scontato. Arriva fine febbraio e la banca presso cui mi sono rivolto, Intesa Sanpaolo, mi tranquillizza. Tutto sembra andare per il meglio: ho scelto un ammortamento lunghissimo, ma preferisco avere una rata bassa e ripagare il mutuo sempre più velocemente, in base alla carriera e alla progressione dello stipendio. Tuttavia, le falle burocratiche erano dietro l’angolo. Dopo un mese, mi viene richiesto un garante: “è giusto così", sforo leggermente la percentuale dello stipendio, per colpa dell’auto (una normale utilitaria comprata a rate per il lungo tragitto casa-lavoro). Mia madre viene in aiuto: professoressa sessantenne, con uno stipendio comunque adeguato e nessun debito ad eccezione della metà di un piccolo mutuo in via di estinzione. E così passa un altro mese.

Dopo una lunga attesa, il 30 aprile mi viene detto che no, la garanzia non è ancora sufficiente per la banca. Sforo ancora la percentuale fissata e mia madre è garante anche del finanziamento dell’auto. Il ragionamento alla base di questa percentuale? Non è dato saperlo: i conti vengono fanno automaticamente dall’ufficio centrale. Tutto ciò fa sì che dopo due mesi di attesa, il preavviso di diniego comporti che i venditori comprensibilmente inizino a cercare altri acquirenti dopo un’attesa tanto fiduciosa quanto lunga. Non li biasimo neanche. Sciocco io che a trent’anni, funzionario pubblico, con genitori insegnanti e perfetti pagatori, ho pensato di poter comprare una casa di proprietà, anticipandone più di un quinto del valore sull’unghia. La mia famiglia mi ha sempre spronato a costruirmi una vita solida, e come tanti miei coetanei, sto provando a metterlo in pratica. Ma questo non è un Paese per chi vuole crescere. Purtroppo è la nazione di chi attende, troppo spesso invano.

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