Il buio e la luce della Chiesa

Ricordo benissimo le messe feriali in cui facevo il chierichetto, le messe alle sei del mattino in una chiesa buia e fredda in cui piccolo come ero mi arrabattavo a rispondere in latino e trasportare faticosamente il messale da una parte all’altra dell’altare e mi chiedevo il perché dal momento che si leggeva bene da qualsiasi parte. Il latino, comunque, mi è rimasto in testa tanto che neppure al liceo me la cavavo male, come pure il catechismo di Pio X che sapevo a menadito. E tuttavia quando con il Concilio Vaticano II iniziarono le riforme le accolsi con piacere perché mi apparivano come spiragli di luce nella chiesa buia della mia infanzia.

Dopo tanti anni, mi trovo a pensare che forse il buio permetteva di vedere qualcosa e i bagliori di luce un poco accecavano. Sulla questione della messa in latino non do ragione né ai conservatori né ai progressisti, per quel che vale questa divisione di partiti. I conservatori difendono la messa del concilio di Trento, ma prima della chiesa barocca c’era la chiesa gotica e prima ancora la romanica, che è poi lo stile sobrio ed essenziale che mi sembra il più vicino ai Vangeli. Se poi guardiamo i paramenti usati dagli ultraconservatori, non riesco ad immaginare Cristo ed i suoi rustici pescatori vestiti con quegli svolazzi di trine e merletti. Ma l’errore più grande è stata la difesa del latino come divisione tra loro e gli altri, come negando il valore della messa in lingua volgare. Che poi ci fosse un maggior senso del sacro nelle messe di allora è tutto da discutere, perché la maggior parte delle volte il sacerdote con i chierichetti parlavano in latino per loro conto mentre i fedeli quando andava bene recitavano il rosario coprendo le parole del celebrante. La cosa più positiva è che tutti sapevano le preghiere essenziali in latino ed erano in grado di cantare in latino gli inni fondamentali, senza contare la bellezza del gregoriano, che a ben ricordare risale a molti secoli prima del concilio di Trento.

Ma anche i cosiddetti progressisti non sono da meno, molte trovate liturgiche sanno di circo, le chiese si trasformano in un teatro con relativi applausi che sono poi l’aspetto più deleterio ed osceno, il senso del sacro si smarrisce del tutto ed infine l’aspetto più indecente dal punto vista estetico sono la quasi totalità dei canti liturgici, orribili sia come testo sia come musica, che mi provocano un rigetto quasi fisico e che mi rifiuto di cantare.

I riti in lingua locale sono necessari, ma proibire l’uso del latino è sbagliato: è probabile che le autorità ecclesiastiche abbiano preso questa misura a causa dell’atteggiamento negativo dei conservatori, ma resta una misura sbagliata. Mantenere l’uso del latino per alcune preghiere essenziali ed il gregoriano, come la Missa de Angelis, servirebbe ad avere un linguaggio comune per tutti i cattolici in occasione di eventi internazionali. Questa sarebbe la vera funzione del latino, la lingua universale del cattolicesimo, funzione che aveva ben prima della riforma tridentina, quando nei primi secoli della chiesa si diffuse soppiantando il greco, e che oggi viene negata sia dai conservatori che lo riducono ad una bandiera del loro schieramento, sia dai progressisti burocrati vaticani che lo vedono come una ribellione alla loro gestione accentrata. Una occasione mancata.

Quanto a me, una messa in italiano senza altri canti che non siano in gregoriano, e soprattutto senza applausi e con il raccoglimento proprio di un luogo sacro diverso dai teatri, sarebbe il massimo. Ma non la trovo da nessuna parte. Purtroppo.

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