Non solo "scarti" ma Avanzi

Egregio Direttore,
leggo con molta amarezza l’articolo pubblicato ieri sulla Sua Testata, in cui si rendiconta la tavola rotonda sulla sanità svoltasi il 27 maggio a Novara. Fin dalle prime righe si legge la volontà di sintetizzare oltre due ore di dibattito in un paio di frasi completamente isolate dal contesto e che non corrispondono al mio pensiero.

Ho il rammarico di avere effettivamente usato la parola “scarti” per indicare i medici che non riescono a superare i test di ammissione alle scuole di specializzazione. Ho usato un termine che non intendevo minimamente rivolgere alle persone. Se qualcuno si è sentito offeso, chiedo umilmente scusa e affermo invece tutto il mio rispetto e affetto verso colleghi agli inizi di una professione al cui servizio mi trovo da quasi mezzo secolo.

In quella che ritengo frettolosità interpretativa, si liquidano in poche righe due problemi molto gravi del sistema universitario-ospedaliero italiano. È un dato di fatto che l’allargamento improvviso dei posti di specializzazione (e non graduale e progressivo, come sarebbe auspicabile), abbia messo in sofferenza le scuole a livello nazionale. Si sono ammesse persone che avrebbero dovuto colmare ancora qualche lacuna prima di entrare in specialità e quindi si è moltiplicato lo sforzo per recuperare debiti formativi in determinate materie. Soprattutto all’aumento degli iscritti non è corrisposto un immediato incremento dei posti di tirocinio adeguati alla formazione (per i quali è necessario il soddisfacimento di precisi requisiti assistenziali) e ciò rischia di compromettere ancora di più la preparazione degli specializzandi.

L’altro problema è ben più articolato rispetto alla mia presunta affermazione che negli ospedali ci sia sovrabbondanza di medici. Io stesso sono primario di un reparto in cui c’è assoluta carenza di colleghi e non posso aver materialmente detto la frase che mi si attribuisce, poiché questo pensiero non mi appartiene. Ho invece fatto riferimento a una situazione sovranazionale che pone l’Italia in una posizione anomala rispetto ad altri paesi, come la Francia o la Germania, in cui il rapporto medici/cittadini risulta molto più largo rispetto al nostro. Non ho dunque detto che i medici sono troppi, ma che l’organizzazione del sistema sanitario nazionale ha evidenti difetti che vanno risolti una volta per tutte.

Sono favorevole al mantenimento del numero programmato degli studenti di Medicina e delle professioni sanitarie, perché la sua abolizione comporterebbe un pericolosissimo ritorno al passato. Mi ricorda i tempi in cui ero studente, desideravo seguire adeguatamente le lezioni e i tirocini e mi ritrovavo in sale cinematografiche affittate dall’Università, in cui ci si doveva pure sedere per terra. Sotto l’abbaglio di quale senso democratico si può pensare di formare ranghi di futuri medici in condizioni sotto il limite della decenza?

Nella tavola rotonda sono stati toccati altri temi assai importanti, tutti convergenti nella richiesta di un ripensamento generale dei sistemi sanitari, che vada oltre gli interessi di parte. Di questo non c’è traccia nell’articolo, che sembra quasi scritto per scatenare reazioni indignate di coloro che non hanno potuto ascoltare di persona. Torno a presentare le mie scuse a chi si è sentito offeso per la mia inaccuratezza verbale, ma ritengo anche che sia doveroso offrire ai lettori relazioni più complete di quanto venga affermato in occasioni pubbliche.

Cordialmente,

*Gian Carlo Avanzi, rettore Università del Piemonte Orientale (Upo)

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Chiarissimo Professor Avanzi,
prendiamo atto del suo rammarico nell’aver usato, forse Lei sì con la frettolosità interpretativa che ci attribuisce confondendo la sintesi con la superficialità (per la gioia dei nostri lettori avremmo dovuto redigere il verbale di due ore di convegno?), il termine “scarti” per indicare i medici. Anche se ci sfugge a quale specie essi appartengano, visto che Lei spiega che non intendeva minimamente rivolgere quel termine alle persone.

Constatiamo la sua condivisione della gravità del problema della carenza del personale sanitario, ma tocca pure constatare come lei indichi un vulnus nell’aver ammesso alle specialità “persone” che avrebbero dovuto colmare ancora qualche lacuna. Ma quelle “persone” sono laureati in medicina. E se avevano debiti formativi, perché hanno conseguito la laurea? È sperabile che ciò non sia accaduto e non accada nella Sua Università, dando concreto seguito alle legittime Sue osservazioni.

La “presunta affermazione negli ospedali ci sia sovrabbondanza di medici”, non Le è mai stata attribuita, cosa che è chiara leggendo, senza frettolosità, l’articolo in cui l’affermazione è attribuita al Dottor Mario Minola.

In ultimo, Chiarissimo Professore, stavolta presumiamo non viziata dalla fretta la Sua asserzione circa il nostro l’intento di scatenare reazioni indignate di coloro che non hanno potuto ascoltare di persona. Non solo respingiamo questa affermazione con nettezza al pur prestigioso mittente, ma ci permettiamo di farle notare che già prima del nostro articolo le rappresentanze sindacali dei medici avevano reagito alle Sue parole. Per sollevare indignazione, insomma, non c’era bisogno dello Spiffero.

Cordialmente

(s.r.)

 

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