La democrazia secondo Giorgia

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, qualche giorno fa a Cagliari, appena salita sul palco, è stata affrontata da un ragazzo che ha fatto irruzione con una bandiera arcobaleno chiedendo il riconoscimento dei diritti della comunità Lgbt (acronimo di Lesbica, Gay, Bisessuale e Transgender). La leader del centrodestra si è lasciata avvicinare dall’attivista Lgbt e, alle parole del contestatore che rivendicava il matrimonio omossessuale, ha replicato: “Tu vuoi tante cose, ognuno vuole delle cose”. Ha chiesto agli uomini della sicurezza di non allontanare il ragazzo a cui ha detto: “Tu vuoi delle cose, io voglio il diritto di pensarla in maniera diversa. È la democrazia. Si può non essere d’accordo e io e te non siamo d’accordo. Ci rispettiamo, non essendo d’accordo. Grazie per essere stato qui”. E ha aggiunto: “Hai già le unioni civili, puoi fare quello che vuoi. Posso andare avanti? Grazie”.

Il ragazzo viene invitato a scendere e Giorgia Meloni incalza il pubblico: “Gli facciamo un applauso perché io rispetto il coraggio delle persone di difendere quello in cui credono. Io è una vita che ho il coraggio di difendere quello in cui credo”. Il ragazzo, il cui nome è Marco Marras, in un post sui social ha spiegato il suo gesto: “Ho voluto in maniera pacifica esprimere il mio dissenso sulla sua visione della famiglia e ho voluto ricordarle che siamo tutti uguali o come direbbe lei fratelli d’Italia, di un’unica nazione dove dovrebbe esserci il diritto di potersi costruire una famiglia che sia essa tra due uomini o due donne e che possano accedere alle adozioni. Per il resto ringrazio la leader Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia per il confronto e la polizia per essere stata buona con me perché ha capito che tipo di persona io sia, ovvero un ragazzo che voleva solo esprimere la sua opinione. Ringrazio tutti. PS: comunque signora Meloni i cambiamenti si possono frenare ma saranno inevitabili e in Italia in futuro potrò sposarmi e adottare”.

Per curiosità le differenze esistenti tra matrimonio e unione civile in Italia sono: terminologiche (il matrimonio, secondo l’articolo 29 della Costituzione, è “ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare” (mentre l’unione civile è una “specifica formazione sociale” composta da persone dello stesso sesso); di sesso (il matrimonio può essere contratto solo da persone di sesso diverso mentre l’unione civile è un istituto valido per le coppie dello stesso sesso), di rito (il matrimonio prevede le pubblicazioni con relative possibili opposizioni, le unioni civili no), di cognome (nel matrimonio, la moglie mantiene il proprio cognome da nubile, anche se è possibile aggiungere nei documenti ufficiali la dicitura “coniugata con” mentre nelle unioni civili i partner devono presentare una dichiarazione attraverso la quale comunicano la decisione di assumere un cognome comune scegliendo liberamente quale utilizzare tra i due), di figli (l’unione civile non ha la possibilità di adottare un bambino o di ricorrere alla procreazione assistita), di obbligo di fedeltà (contemplata per il matrimonio ma non prevista nell’unione civile) e di divorzio e separazione (le coppie sposate devono rispettare un periodo di separazione prima di divorziare, mentre nelle unioni civili si può divorziare trascorsi tre mesi dalla comunicazione all’ufficiale di Stato Civile, e non al Giudice, della volontà di sciogliere l’unione riconoscendo al partner più debole gli alimenti e l’assegnazione della casa). Non ci sono differenze, invece, per quanto riguarda la gestione patrimoniale (regime di comunione dei beni, a meno che non venga indicata una scelta differente, contribuzione ai bisogni comuni e diritto di successione) e gli obblighi fiscali e previdenziali (detrazioni fiscali per familiari a carico e prima casa, assegno di mantenimento in seguito a divorzio, pensione di reversibilità e Tfr in caso di morte di uno dei due coniugi).

Tornando al fatto di cronaca, la politologa Nadia Urbinati, intervenendo sulle pagine del quotidiano Domani, scrive: “In poche battute, Meloni ci ha detto che cosa sono per lei i diritti. E ha confermato le nostre preoccupazioni. La leader ha detto al ragazzo che comunque lui gode del diritto all’unione civile, ma ne godrebbe ancora se il suo partito avesse la maggioranza? Siccome la Meloni ha ribadito di avere un’opinione contraria, vi è da temere che se la destra avesse la maggioranza quel diritto traballerebbe. In secondo luogo, in uno stato di diritto i cittadini non hanno bisogno di sfoderare coraggio per esprimere le loro opinioni. Solo in uno stato dispotico chi la pensa diversamente da chi governa deve avere il coraggio di mostrarsi in pubblico. Ascoltando Meloni sembra capire che per lei i diritti civili siano come trasgressioni tollerate da parte della maggioranza”.

In una società aperta è normale che si possano avere idee molto diverse su cosa sia giusto o sbagliato, la cosa importante è che si possa liberamente sostenere le proprie idee rispettando, anche senza condividerle, le idee dell’altro. Giorgia Meloni non ha inveito in malo modo con il suo contestatore ma ha dichiarato che, pur avendo idee diverse, ci si possa civilmente confrontare e rispettare. La frase detta da Giorgia Meloni in merito al coraggio di mostrarsi in pubblico (“… io rispetto il coraggio delle persone di difendere quello in cui credono”) non penso si riferisse al coraggio del rivoluzionario che sfida un regime dittatoriale/autocratico, come per esempio quello dimostrato dalla giornalista che alla televisione russa ha preso le distanze da Putin, ma al coraggio “emotivo” che si prova la prima volta salendo su un palco di fronte alla folla e superando il timore di non essere graditi.

Riguardo all’utilizzo del plurale nella frase della giornalista del Domani, “E ha confermato le nostre preoccupazioni”, vorrei sapere chi appartiene all’insieme “nostre”, o è un plurale maiestatis? Poiché al plurale maiestatis (espressione latina: “plurale di maestà”), usato da autorità civili o religiose in veste ufficiale o in contesti istituzionali, si ricorre per ottenere particolari effetti, quale effetto vuole ottenere la politologa? Furio Colombo, sull’editoriale del quotidiano Repubblica del 7 settembre, afferma: “Queste elezioni sono state predisposte come una imboscata a Draghi per rimuoverlo dal governo (…) Meloni ha capito che non le conveniva essere fra i traditori, e si era messa all'opposizione subito. (…) è lei, Giorgia Meloni, a offrire presenze (se non alleanze) con chi veniva creduto avversario. (…) Non ha cambiato bandiera. Ha spostato il suo territorio offrendo ai suoi seguaci un'impressione orgogliosa di coerenza (…). In altre parole, si è acquartierata in un posto che prima non c’era. Meloni non era e non è una sostenitrice di Draghi. (…) Meloni non ha niente da chiedere e non deve rivedere i suoi piani. Avrete notato che, da brava prima della classe, si fa carico anche delle materie facoltative. Per esempio sa benissimo che, in questo momento e in questo Paese, nessuno le chiederebbe conto di un suo silenzio sulla invasione ucraina e in tanti pensano che sia un bene per l’Italia non fare sgarbi a Putin. Ma, da intelligente secchiona, non corre rischi e, data la spaccatura del mondo, intende stare dalla parte che dà più affidamento. Non è opportunismo, è intelligenza politica, che è il suo forte. Nell’accampamento Meloni sono ragionevolmente ottimisti. Ma nessuno vuole cambiare e acquisire più dote, più espedienti per vincere. Abbiamo il leader, ti dicono. Qui comincia un regime”.

Nelle scienze politiche con “regime” si intende l’esercizio di un sistema di controllo sociale sulla popolazione “le norme, i valori, le regole del gioco e le strutture d’autorità che legano il rapporto tra governanti e governati nei concreti ordinamenti”. In teoria, utilizzare il termine “regime” per indicare una certa forma di governo esistente, non implica alcun giudizio su di esso, è neutro. In pratica, tuttavia, nell’uso comune ed informale, il termine “regime” viene considerato sinonimo di “dittatura” o “regime dittatoriale”, identificando governi di tipo repressivo, non democratico o illegittimo. Sarei curioso di sapere da Furio Colombo: a quale interpretazione di “regime” vuole alludere, quella contemplata dalla lingua italiana e presente sui vocabolari o quella più popolarmente caratterizzante una dittatura?

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