Un'idea per il Palazzo del Lavoro

Vorrei fare una proposta al sindaco Lo Russo. Anziché usare il Palazzo del Lavoro di via Ventimiglia come museo dei musei o per l’ennesima shopville (di cui anche basta), si potrebbe trasferire la sede unica della Città di Torino senza tirar fuori quattrini. Vediamo come. I dipendenti comunali a Torino, in servizio presso un vasto numero di sedi, sono circa 8.700, l’1% della popolazione residente, e secondo quanto dichiarato da Lo Russo lo scorso novembre, mancherebbero alla pianta organica della Città ulteriori 5.000 addetti, tanto da reputare a rischio l’indisturbata erogazione dei servizi ai cittadini. Sono invece circa 2.600 i dipendenti della Regione Piemonte destinati entro alcune settimane a trasferirsi all’interno del grattacielo di via Nizza firmato Fuksas, nuova sede unica dell’ente, costata (in realtà) più di 300 milioni di euro: una torre di oltre 200 metri di altezza, circa 70 mila mq di uffici a pianta quadrata con 45 m di lato e un interpiano di 4,30 m. Teniamo a mente.

Il Palazzo del Lavoro oggi è al 100% di proprietà di Cdp Immobiliare, società a capitale pubblico-Mef; abbandonato sin dall’inizio degli anni Duemila, afflitto per anni da traversie giudiziarie seguite ai tentativi di rifunzionalizzazione, nel pessimo stato manutentivo e urbanistico in cui si trova attualmente, l’immobile ha un valore di mercato tra 20 e 30 milioni di euro, range di prezzo infatti entro il quale nell’agosto del 2020 è stato regolato l’acquisto da parte di Cdp del 50% dello stesso da un precedente comproprietario privato torinese. Edificio a pianta quadrata con 158 m di lato e quindi una piastra di 22.500 mq, circa 26 m di altezza; complessivamente oltre 600 mila metri cubi. Ora: sezionando verticalmente Palazzo Nervi – unicamente al suo interno – col medesimo interpiano del grattacielo regionale (4,30 m), si otterrebbero sei orizzontamenti per complessivi 135 mila mq in grado, pertanto, di ospitare tutto il personale della Città di Torino non impegnato nei molti presidi territoriali, di pattuglia e di quartiere evidentemente non trasferibili. Il rapporto tra numero di dipendenti e superfici disponibili pressappoco rispecchierebbe quello del grattacielo regionale. Le facciate, la geniale copertura a tagli di luce, la meravigliosa pilastratura interna, gli spazi esterni pensati da Nervi sarebbero finalmente recuperati, accettando di riplasmare il volume esistente funzionalmente al fabbisogno descritto, e restituendo decoro e rilievo ad una importantissima porta di accesso alla nostra Città, ad un passo peraltro dall’unico asse della metropolitana di cui oggi disponiamo.

A costo di risultare sgradevole, mi impossesso delle parole di Savinio e dico subito che le critiche dei puristi a tempo perso cadranno ai piedi della mia gelida indifferenza; dalla Soprintendenza in giù, ho ben chiaro infatti che la proposta di realizzare cinque solai all’interno del Palanervi accenderà giudizi di vilipendio contro un'opera d’arte; ma se l’obbiettivo deve essere – nel preminente interesse pubblico – un riuso razionale ed economico dell’immobile, essi dovranno essere superati.

Veniamo ai quattrini. Il gruppo Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) che possiede l’immobile è il braccio finanziario dello Stato italiano. Ha dimensioni gigantesche, 500 mld di attivo, ed uno dei problemi che proprio non conosce è la liquidità: può impegnare molti miliardi dalla sera alla mattina, naturalmente cum grano salis, e quindi i 200 milioni necessari per convertire il Palazzo del Lavoro a sede unica del nostro municipio non spaventano affatto. Cdp poi – e non solo attraverso il suo braccio immobiliare – è da tempo partner preferenziale degli enti locali nazionali (e delle di essi società partecipate) per favorire – più spesso permettere – operazioni di valorizzazione dei molti asset da questi posseduti affinché non divengano problematici.

La Città di Torino, accanto ad un debito oggettivamente elevato per lo più proveniente da importanti investimenti infrastrutturali degli ultimi 30 anni, possiede numerosissime proprietà immobiliari, in parte strumentali all’attività dell’ente ed in parte destinate – sovente con scarso successo – alla alienazione. Tra i primi, solo per indicare gli assessorati e dipartimenti maggiori, troviamo ad esempio il “palazzaccio” di piazza San Giovanni, lo stabile di via Meucci 4 (di proprietà della Fct spa – 100% Città di Torino), quella meraviglia di piazza Palazzo di Città, via Corte d'Appello 16, via Giulio 22, Via Bazzi 4, etc.: beni immobili di grande superficie – interi stabili, talora interi isolati – ubicati per la più parte nelle zone di maggior pregio della nostra città. Tra i secondi, quelli cioè destinati alla vendita, sono presenti centinaia di immobili e terreni pervenuti al Comune nei modi più disparati: dal piccolo alloggio al grande compendio, da una cantina al grandissimo terreno edificabile; via Cigna/via Cervino, via De Marchi 33, piazza Massaua 18, via Ghedini 2, via Cecchi 21 sono una parte piccola dei maggiori cespiti dei quali il Comune malgrado numerose aste non è sin qui riuscito a disfarsi, e valga per brevità il solo ulteriore riferimento alla fabbrica ex Superga di via Verolengo 28 che da oltre 20 anni non trova in nessun modo marito, così condividendo con tutti gli altri immobili in attesa di alienazione un crescente degrado. Simili asset al contrario, il loro profittevole sviluppo economico, sono il core business di Cdp Immobiliare, quasi sempre in partnership con operatori privati, potendo mobilitare tutte le risorse necessarie al miglior sfruttamento degli stessi.

Concludendo: dietro apposito accordo quadro che non potrà fare a meno tra l’altro delle necessarie varianti urbanistiche, Cdp da un lato costituisce un proprio fondo immobiliare o società di scopo cui conferisce il Palazzo del Lavoro per quindi procedere alla riqualificazione dello stesso nei termini qui rappresentati ed in base ad un progetto che proverrà naturalmente da apposita gara internazionale bandita nel frattempo dal Comune; a sua volta la Città di Torino costituirà un proprio veicolo nel quale far affluire gli immobili – strumentali e non – che ho solo in piccola parte prima cennati. Poiché l’impegno complessivo per Cdp si aggirerà tra 230 e 250 milioni di euro (valore attuale del Palanervi + costi di recupero), il valore degli immobili che il Municipio conferirà nel proprio fondo dovrà essere perlomeno equivalente; se si vuole, una permuta. A lavori ultimati infatti, le parti si scambieranno le quote dei rispetti fondi, immettendo da un lato la Città nella proprietà della nuova sede dell’Ente e dall’altro Cdp nella disponibilità di molti asset immobiliari torinesi che verranno un po’ alla volta riqualificati, dando luogo – è certamente ben chiaro ai nostri amministratori – a ricadute economiche e occupazionali ragguardevolissime per la nostra città. Iniziato nel febbraio del 1960, il Palazzo del Lavoro a dicembre dello stesso anno era concluso; sono stati invece necessari più di 11 anni per portare a completamento il grattacielo regionale di via Nizza. Quanto al futuro, infine, si vedrà.

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