Quei timori (giusti) di Zandano

Gianni Zandano, nato nel 1934, ha frequentato la facoltà di Economia e commercio di Torino come allievo dell’economista Francesco Forte (1929-2022) che lo valutò il più brillante studente che avesse mai avuto. Dopo aver conseguito il PhD all’Università di Yale, sotto la supervisione del premio Nobel James Tobin, Zandano fu, durante il periodo 1969-1971, professore di Economia monetaria e creditizia all'Università di Siena, dal 1971 al 1978, professore di Economia politica all’Università di Torino e dal 1978 al 1997 a La Sapienza di Roma, per tornare all’Università di Torino dal 1997. Nel 1983 fu nominato presidente dell’Istituto bancario San Paolo di Torino e durante i quindici anni del suo mandato gestì la privatizzazione dell'istituto e avviò la fusione con l’Imi. Tra le sue pubblicazioni sono degne di nota: “La domanda di moneta e la politica monetaria e fiscale” (1966), “Introduzione all'economia monetaria e creditizia: domanda ed offerta di moneta” (1975), “Un modello econometrico a due settori per l’Economia italiana” (1982), “Gli anni del malessere. 2001-2006”, “Analisi e prospettive della politica economica italiana” (2007) e numerosi articoli in riviste specializzate.

Nell’aprile 1997 su un quotidiano così si tratteggiava “l’attrazione reciproca tra Imi e San Paolo di Torino” parlando di “attrazione antica e fatale”. “Il problema è che non potrà finire con un matrimonio tra pari: uno dovrà stare sopra e l’altro dovrà stare sotto. (…) E, come sempre accade quando in gioco c’è il bastone del comando, è una partita durissima e senza esclusione di colpi. I prossimi quindici giorni sono, ai fini del risultato, determinanti, perché (…) saranno individuati i componenti del nucleo stabile dell’azionariato del San Paolo. (…) Gianni Zandano, onore al merito, ha fortissimamente voluto la privatizzazione del San Paolo, che è la prima banca italiana, e con la consulenza di Guido Rossi ha messo le cose in modo da arrivare ad una privatizzazione vera. Lo ha fatto consapevole della possibilità di perdere in tutto o in parte il suo potere sull'istituto e sui suoi futuri sviluppi. Intendiamoci, non ha smesso un momento di lottare perché ciò non accada, ma al contrario degli altri 'banchieri di stato' ha deciso di accettare il rischio ritenendo, con ciò, di fare l'interesse dell’istituto. Onore al merito quindi”.

La storia ci dice come andò la “partita”: alla presidenza della Banca Sanpaolo-Imi, la banca privatizzata voluta e attuata dal professor Zandano, fu nominato Luigi Arcuti già presidente dell’Imi. Zandano uscì di scena con le seguenti parole prese a prestito dalla seconda lettera di San Paolo a Timoteo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”.

Nel marzo 2007, in occasione della fusione per incorporazione della Banca Sanpaolo-Imi in Banca Intesa, scrisse una lettera: “Come ex presidente del Sanpaolo-Imi per un quindicennio, credo di avere qualche grado di legittimazione per esporre il mio punto di vista in ordine al malcontento che serpeggia tra i dipendenti e i sindacati torinesi dopo la fusione con Intesa. Durante la mia presidenza ho promosso sette fusioni, decuplicando le dimensioni del Sanpaolo, e so per esperienza che si tratta di operazioni dolorose per la banca-preda che viene incorporata e cessa di esistere come entità giuridica autonoma. In un caso (Banco Lariano) mille dipendenti del centro contabile sono rimasti pressoché senza lavoro (ancorché retribuiti) per circa un anno e per loro non è stata di certo un’esperienza esaltante: sfumate le prospettive di carriera, costretti a migrare a Torino con mansioni equivalenti sulla carta ma di fatto vuote di contenuti effettivi, amareggiati per la perdita di identità e di ruolo; le famiglie e i figli spesso sradicati dal contesto abituale. Sia gli esuberi vittime della fusione Sanpaolo-Intesa sia gli altri esuberi stanno vivendo questa brutta esperienza col carico di sofferenze, incertezze, preoccupazioni che l’accompagna. I vertici del Sanpaolo – cancellato con un tratto di penna dopo 500 anni di storia gloriosa – hanno l’obbligo di tenere conto e di cercare in tutti i modi di attenuare il forte disagio e la inevitabile demotivazione di chi è più coinvolto nel processo di reductio ad unum della duplicità delle strutture: tanto più che è stata Intesa a incorporare il Sanpaolo e non viceversa, com’era sempre accaduto in passato. Se è sacrosanto tutelare al massimo i dipendenti in questa transizione, occorre subito precisare che la fusione è un’operazione positiva sotto il profilo commerciale: persino l’Economist – di solito poco tenero con le banche italiane – l’ha approvata senza riserve. Entrambe le banche disponevano di uno spazio esiguo per un’ulteriore espansione in Italia, come dimostra l’intervento dell’Antitrust che ha imposto la dismissione di 1000 filiali in certe aree. Il vero terreno di espansione è l’Europa comunitaria e extracomunitaria (…). In conclusione, il Sanpaolo ha colto l’unica opportunità offerta dal mercato, l’alternativa era restare single. Ora il campo d’azione per crescere ancora mediante aggregazioni si è dilatato a dismisura: Intesa-Sanpaolo ha un ampio ventaglio di opzioni, e senza dubbio la corsa riprenderà alla grande. Salza e Bazoli hanno entrambi l’animus del predatore, non della preda. Salza non ha venduto la primogenitura per un piatto di lenticchie come Esaù – peraltro Esaù non lo ha mai fatto, è stato ingannato dalla madre che gli preferiva Giacobbe. Ma ha ora il dovere di rimboccarsi le maniche e accogliere il più possibile le legittime richieste dei dipendenti e dei sindacati che considerano la fusione come l’ennesimo scippo ai danni di Torino, dopo il cinema, Telecom, il Salone della Moda, il Salone dell’Auto ecc. Salza è un banchiere scafato e all’altezza del compito, chi scrive l’ha subìto per 15 anni come avversario duro e intransigente, ancorché mai sleale e mai nelle scelte strategiche. Sono sicuro che saprà trovare il giusto compromesso tra le esigenze della fusione e la minimizzazione del danno per i torinesi”.

Chissà se chi, secondo il professor Zandano, aveva il dovere di “rimboccarsi le maniche” lo ha fatto oppure ha deciso di sostituire la camicia con una t-shirt? O forse, vedendo quanto già successe nel 2010 al primo rinnovo dei consigli di sorveglianza e di gestione, ha preferito mettersi addirittura a torso nudo per evitare la fatica di avere le maniche? Chissà se tutte quelle realtà aziendali scippate a Torino avrebbero, con altre amministrazioni ed altri manager, potuto svilupparsi senza dover abbandonare il territorio natio? Chissà come commenterebbe Zandano la realtà che oggi si presenta ai nostri occhi?

Quando andiamo a votare non votiamo solo un simbolo, una ideologia a cui dobbiamo una “lealtà” di appartenenza, stiamo dando le leve di comando a organizzazioni politiche che determineranno la nomina di manager pubblici e influenzeranno il comportamento anche dei manager di società di diritto privato come, ad esempio, Banca Intesa Sanpaolo. La Banca, infatti, ha come azionisti di riferimento la Compagnia di Sanpaolo e la Fondazione Cariplo, società di diritto privato ma soggetti ad influenza pubblica territoriale. (Ricordiamo che al tempo della fusione per incorporazione di Sanpaolo-Imi in Intesa il consiglio comunale, con sindaco Sergio Chiamparino, fu determinante nella decisione). Mettiamo in pratica l’onestà intellettuale di Zandano e votiamo privilegiando coloro che possono offrire una migliore qualità di vita in questa città perché così facendo ne beneficerà ogni singolo cittadino.

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