Il diritto strozzato da troppe leggi

Il problema dell’Italia, purtroppo, non è determinato da chi governa: sinistra, centro o destra. Come nella proprietà commutativa, anche cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non cambia. Il nostro Belpaese è affetto da legiferazione “ossessivo-compulsiva”, cioè da quel disturbo caratterizzato da pensieri o impulsi ricorrenti, che generano ansia e/o disgusto, inducendo ad attuare azioni ripetitive materiali o mentali al fine di tranquillizzarsi. Talvolta le ossessioni vengono denominate manie o fissazioni. Se così non fosse, come si potrebbero spiegare le 160.000 norme attive in Italia contro le 3.000 dell’Inghilterra, le 5.500 della Germania e le 7.000 della Francia? (fonte ufficio studio della Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato).

Perseguendo la dottrina del meglio, che, come è noto, è nemica del bene, da noi si ritiene che se, paradossalmente, si potesse disporre di una legge non solo per ogni reato ma anche per ogni sua nuance si risolverebbero tutti i problemi. Troppi incidenti stradali? Ecco la legge che proibisce una velocità superiore a 130km/h. Non basta? Allora abbassiamo la velocità massima a 50 km/h o, se ancora non basta, a 10k/h sino a legiferare la proibizione di circolare con veicoli a motore.

Dal momento che non siamo in grado, sia per mancanza di mezzi sia per incapacità burocratico-organizzativa, di programmare dei controlli efficaci, tutto viene affidato a modelli stocastici cioè al caso. Il motto è: ne punisco uno per educarne 10.000. Questo significa che, in Italia, repressione e punizione hanno una valenza fondamentale, e quindi una dignità formativo-educativa.

Due fatti, provenienti da fronti politici opposti, ci aiutano a esemplificare la nostra ossessione compulsiva nel legiferare: 1) gli articoli 604-bis e 604-ter del nostro Codice penale puniscono “organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che abbiano tra i loro scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Il ddl Zan-Scalfarotto (deputati del partito democratico) vuole estendere i suddetti articoli penali “all’orientamento sessuale e all’identità di genere”. Perché è necessaria una legge speciale ad hoc per sancire che un omosessuale non deve essere discriminato ed oggetto di violenza quando lo stesso art. 3 della costituzione sancisce che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”? Non è forse anche lui un essere umano, un cittadino italiano e, come tale, già difeso dalle leggi ordinarie?

Il nuovo decreto anti-rave (o free party, cioè raduno musicale non autorizzato e clandestino, basato sull’invasione di una proprietà pubblica o privata, nato alla fine degli anni ’80) è intervenuto con l’introduzione di un nuovo articolo del Codice penale, il 434-bis, che punisce i raduni illegali ai quali partecipano più di 50 persone, che occupano in modo abusivo terreni o edifici, al fine di organizzare un evento. La pena prevista per gli organizzatori è la reclusione da 3 a 6 anni e una multa tra i 1.000 e i 10.000 euro, con pene ridotte per i semplici partecipanti. Inoltre, viene applicata la confisca, ovvero il sequestro definitivo, di tutto il materiale utilizzato durante il raduno non autorizzato. L’art. 633 del Codice penale già punisce le invasioni di terreni o edifici, l’unica differenza che si procede in seguito a querela, mentre nel nuovo articolo il delitto è perseguibile d’ufficio. Non è chiaro quali siano i casi che portino a considerare il raduno un pericolo per l’ordine pubblico e questo porta ad interpretazioni che possono cozzare contro l’art. 17 della Costituzione che recita “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

In entrambi i casi sopra citati le nuove norme si propongono di contrastare azioni “sbagliate” ricorrendo alla promulgazione di “leggi speciali”, leggi ad hoc che si sovrappongono a quelle vigenti e strutturali generando disordine normativo. Tale disordine, tra l’altro, consente un’ampia possibilità di interpretazione che, con lo stato dell’arte del nostro sistema giudiziario ed in particolare della nostra magistratura requirente, danno vita a veri e propri calvari giudiziari per gli innocenti, o per chi in buona fede ha commesso un errore, e significative possibilità di farla franca per chi, colpevole, gli errori li ha commessi a ragion veduta. Le leggi speciali sono un segno della debolezza dello Stato che non riesce, né attraverso l’esempio né attraverso strutturali processi educativi, a formare civicamente i cittadini. Il ricorso a leggi speciali è tipico di paesi autocratici dove il potere è gestito e mantenuto con le cosiddette “maniere forti”, insomma di paesi dove non vige compiutamente lo stato di diritto.

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