Cos'è rimasto dei Popolari

Nel giorno dell’anniversario del lancio dell’appello ai “liberi e forti” con cui don Luigi Sturzo diede vita al Partito Popolare Italiano, il 18 aprile 1919, il quotidiano Libero pubblica un interessante articolo di Antonio Socci dal titolo assai eloquente, “Così i cattolici nel Pd hanno finito per suicidarsi” e prende in considerazione il fallimento della strategia della “contaminazione” che portò il Ppi a progressivi scioglimenti fino al Pd.

È una riflessione importante, non tanto perché parte dalla critica ad un tweet di Guido Bodrato, ma perché ha il pregio di squarciare un velo di ipocrisia. Senza riandare alla resistenza dell’ultima sezione storica popolare  in provincia di Torino (quella di Moncalieri) che, nata il 30 aprile 1919, è l'unica che ha mantenuto, salvo gli anni di guerra, una continuità fino ad oggi senza passare ad altri partiti e funge da segreteria nazionale della rete dei Popolari di Italia Popolare che nacque nel 2004 con la Presidenza del sen. Alberto Monticone (con l'on. Gerardo Bianco Presidente onorario), non si può allora non ricordare il punto centrale, l’intenzione di mantenere in Italia vitalità e presenza autonoma del popolarismo.

Tralasciando chi fece l’errore storico di far uscire per moralismo i popolari italiani dal Ppe e chi rimane affezionato ad un frontismo che risponde, di fatto, con populismo al populismo, il titolo contiene un verbo interessante e dalla valenza, “storica”. Mi spiego meglio: premetto che l’analisi è condivisibile, basta riprendere alcune righe inconfutabili, “nel Pd è totalmente sparita la cultura politica della Dc e dei cattolici. La loro identità si è dissolta. Infatti oggi sia Parisi che Castagnetti esternano il loro mal di pancia per quello che il Pd è diventato. Come ha scritto sul Corriere della Sera Massimo Franco ‘l'amalgama tra reduci dell’epoca comunista e cattolici di sinistra di colpo si mostra improponibile’”.

Anche l’attuale tentativo di creare una linea cattodem, gramscianamente definibile del “cattolicismo democratico”, che, non avendo più nessuna connessione col pensiero popolare, diventa, in fin dei conti, un mero metodo per la sopravvivenza, un ogm politico insomma, e torna e ritorna sempre allo stesso punto non si preoccupa di spiegare un decennio di silenzio da aderenti al Partito Socialista Europeo che di sturziano e degasperiano non ha nulla. L’attuale agitarsi tra convegni, correnti che cercano di riprendere una denominazione, proposte di federazioni che puntano ad uno spazio terzopolista, nostalgie organizzativiste, ricerca di astruse formule politiciste, ecc..., non considerano quello che scrisse il 19 gennaio 1994 in vista del “ricominciamento” popolare con pieno orgoglio della storia democritiana, Mino Martinazzoli: “le eredità morali che Sturzo costituì in regola e principio della condotta politica dei popolari non si acquisiscono per diritto successorio o non si alimentano solo per una invenzione. E' vero piuttosto che il seme va coltivato. Il nuovo partito vuole essere il custode, fedele e coraggioso, di questo seme, non misurando il suo tempo con il variare delle stagioni ma per la durata di una coscienza politica e per l'assunzione di una responsabilità etica e civile”.

Dunque la valutazione della coerenza dei Popolari va fatta sulla durata della coscienza politica e della custodia per affrontare il futuro abbandonando quella che è diventata la zavorra di tanti sbagli: non è su coerenza e scelte che si valutano i politici anche quando cercano di ricostruirsi una verginità di cui rimane un ricordo troppo vago? Socci, poi, parte e chiude con elementi di grande attualità e che sono il vero cuore di un modo concreto di affrontare la “questione popolare” che si intreccia, necessariamente con la “questione cattolica”. Parte parlando del Partito Popolare Europeo che, pur un po’ sgarrupato, ha nella sua piattaforma programmatica il richiamo alla Dottrina Sociale della Chiesa ed oggi, prima che delle alleanze, che sono elemento dinamico della democrazia, deve pensare alla sua identità che si impernia sull'impegno delle Democrazie Cristiane nella realizzazione della Comune Casa Europa e, per l'Italia, sull'aiuto al superamento dell'ideologica e insensata frattura tra cattolici del sociale e cattolici della morale per un rinnovamento e rilancio della sua presenza ripartendo dall’originalità del popolarismo che è un pensiero utile anche nella dimensione ecclesiale come messa a terra di tensioni.

Un appuntamento internazionale fondamentale ci sarà a Lugano, il 31 gennaio, con il primo incontro tra le delegazioni nazionali delle presenze storiche dei Popolari e Democristiani di lingua italiana (il Centro del Ticino, il Pdcs di San Marino, i Popolari-Italia Popolare per l’Italia) con le rispettive organizzazioni giovanili. Il titolo indica la rotta e richiama la coerenza oltre al non rimanere invischiati in un italico provincialismo politicista: “Sfide attuali e prospettive future per la Democrazia Cristiana in Europa” che vedrà la relazione di Olaf Wientzek (Direttore della Rappresentanza della Fondazione Konrad Adenauer a Ginevra). Le citazioni di uomini popolari e democristiani fatte da destra possono assumere una dimensione di strategia politica? Come riconoscimento di un valore sono importanti, come strategia il travaso dei “mischioni politici” da sinistra a destra appare sconsigliabile essendo prevedibile lo stesso risultato ben delineato nell'articolo. L'ultimo punto, che si integra con quanto appena accennato è l’ispirazione cristiana su cui si radica il pensiero dei Popolari e il loro contributo al confronto politico culturale italiano ed europeo e che deve necessariamente, per essere se stesso, connettersi col Magistero di Papa Francesco oggi impegnato nel sollecitare con vigore la pace. Senza questa citazione non c'è popolarismo e rimarrebbe aperta anche la “questione cattolica”.

Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari-Italia Popolare

 

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