La destra posi il randello

Ho letto le esternazioni di Alberto Preioni, capogruppo della Lega in Consiglio regionale, sulle “minoranze che frenano la modernizzazione dello Statuto” che l’hanno portato a denunciare “l’ennesima degenerazione di un regolamento d’Aula assurdo e anacronistico, senza equivalenti nelle altre Regioni: un’altra stortura che questa maggioranza, di cui la Lega è la prima forza, provvederà a sanare entro la fine della legislatura”.

L’intento della maggioranza di centrodestra è di cambiare Statuto e regole nell’ultimo anno di legislatura a colpi di maggioranza, moltiplicando posti e costi della politica con l’introduzione delle figure di quattro sottosegretari (in analogia con la Lombardia che ha più del doppio della popolazione piemontese, mentre l’Emilia Romagna ne ha uno solo) e con un automatismo mutuato dal calcio: l’introduzione di una sorta di “panchina” che consentirebbe la sostituzione di ogni consigliere che diventi assessore con il primo escluso.

Una proposta sbagliata nel merito, ma ancor più nel metodo perché, nonostante la cosa piaccia poco al decisionismo di Preioni, le regole si discutono e si cambiano insieme. Conosco bene il tema del regolamento del Consiglio regionale del Piemonte, essendomene occupato da vicepresidente dell’apposito organismo a Palazzo Lascaris tra il 2005 e il 2010. Quindici anni fa, dopo un lungo dibattito e una maratona in Consiglio riformammo il testo che era in vigore dal 1990. La questione del regolamento non è un fatto marginale perché incide sulla qualità del lavoro della assemblea legislativa. Già dal 2003, quando gli allora Ds erano all’opposizione venne avanzata una proposta articolata senza pensare ai vincoli o agli interessi di collocazione, perché in democrazia e in una logica di alternanza le regole vanno definite, scritte e condivise con la più larga intesa possibile. La stessa logica avvenne con l’approvazione del nuovo Statuto nel 2005, negli ultimi mesi della giunta Ghigo.

Se si intende affrontare il tema della programmazione dei lavori consiliari per definire con maggior precisione dei tempi certi per l’esame dei provvedimenti (garantendo anche una riserva per i provvedimenti dell’opposizione), organizzando in modo funzionale i lavori delle Commissioni e dell’Aula, normando con precisione i casi e le modalità circa il ricorso alle questioni preliminari, pregiudiziali e sospensive, i tempi e le modalità di presentazione di emendamenti e subemendamenti, una maggiore efficacia agli atti di sindacato ispettivo e rendere più spedito e funzionale l’iter delle leggi va avviata una discussione seria.

Il regolamento non si cambia minacciando prove di forza muscolari e modifiche a randellate. La maggioranza deve poter perseguire il suo programma di governo (“e ci mancherebbe!”, parafrasando il linguaggio preioniano), ma è evidente che chi è in minoranza deve, altresì, poter svolgere pienamente la sua funzione di controllo. Le regole, quando si sceglie di riscriverle, necessitano di un ampio consenso e non di atti d’imperio tanto roboanti quanto, spesso, inconcludenti. La democrazia non è una perdita di tempo se si ha a cuore il buon funzionamento delle istituzioni e non solo l’interesse personale o di bottega.

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