I magistrati non pagano mai

Nel 2019 una donna di 27 anni del Bangladesh, vissuta sin da piccola in Italia e sposata, secondo un matrimonio combinato, al connazionale Hassan Md Imrul, denunciò il marito per anni di maltrattamenti fisici e psicologici. Il pubblico ministero, dottor Antonio Bassolino, della Procura di Brescia, prima del processo aveva chiesto l’archiviazione del procedimento a carico dell’uomo motivando l’atto come comportamento culturale dovuto alle sue origini etniche. Il Gip (giudice per le indagini preliminari), però, l’aveva negata in quanto: “Sussistono senz’altro elementi idonei a sostenere efficacemente l’accusa in giudizio nei confronti dell’ex marito”. Arrivati al processo il dottor Bassolino ha rinnovato la richiesta di assoluzione per l’imputato, sottolineando che: “i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”.

La donna, colpita dall’affermazione, ha reagito energicamente dichiarando: «Dov’è la giustizia e la protezione tanto invocata per le donne, tra l'altro incoraggiate a denunciare al primo schiaffo? Oppure il fatto che io sia una bengalese tra le tante, mi rende di meno valore dinanzi a questo pm?» e prosegue: «Sono stata trattata da schiava, picchiata, umiliata. Costretta al totale annullamento con la costante minaccia di essere portata definitivamente in Bangladesh (...). Aspetto con fiducia la sentenza (ndr: prevista per ottobre 2023) perché non posso pensare e credere che una nazione come l'Italia possa permettere a chiunque di fare del male ad altri, impunemente, solo perché affezionato a una cultura nella quale la donna non conta nulla e l'uomo può su di lei tutto. Ciò in Italia non può accadere».

Il dottor Francesco Prete, procuratore di Brescia, ha preso le distanze dal suo sostituto Bassolino ed in una nota ufficiale scrive: “La Procura di Brescia ripudia qualunque forma di relativismo giuridico, non ammette scriminanti (ndr: cause di esclusione del reato) estranee alla nostra legge ed è sempre stata fermissima nel perseguire la violenza, morale e materiale, di chiunque, a prescindere da qualsiasi riferimento culturale, nei confronti delle donne”. Inoltre, sempre il dottor Prete, precisa che: “In base alle norme del codice di procedura penale, nell’udienza, il pubblico ministero esercita le sue funzioni con piena autonomia (…). Le conclusioni rassegnate in aula (ndr: in virtù del vigente ordinamento giudiziario) non possono essere attribuite all’ufficio (ndr: Procura della Repubblica) nella sua interezza, ma solo al magistrato che svolge le funzioni in udienza”.

Persino il mondo politico, sia di destra che di sinistra, ha mosse diverse critiche nei confronti del dottor Antonio Bassolino. In una recente sentenza il tribunale di Brescia ha condannato un padre islamico violento nei confronti delle figlie femmine. Essa recita: “I soggetti provenienti da uno Stato estero devono verificare la liceità dei propri comportamenti e la compatibilità con la legge che regola l’ordinamento italiano. L’unitarietà di quest’ultimo non consente, pur all’interno di una società multietnica quale quella attuale, la parcellizzazione in singole nicchie, impermeabili tra loro e tali da dar vita ad enclave di impunità”.

Nel dicembre 2021 un pubblico ministero, in servizio alla Procura della Repubblica di Benevento, aveva richiesto l’archiviazione del fascicolo riguardante un uomo denunciato dalla moglie che aveva subito da questi, anche in presenza dei figli, maltrattamenti e abusi per costringerla a rapporti intimi. La motivazione del pm sottolineava che in una coppia eterosessuale può capitare che l’uomo debba «vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende a esercitare quando un marito tenta un approccio sessuale». Il magistrato aggiungeva poi che i fatti denunciati come “una denuncia per stupro”, andassero definiti semplicemente «fatti carnali che devono essere ridimensionati nella loro portata». Il dottor Aldo Policastro, procuratore capo della procura di Benevento, ha precisato che gli accertamenti svolti, da cui la richiesta di archiviazione, hanno portato l’inquirente alla conclusione «che non ricorresse il quantum probatorio necessario a ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dei reati contestati», ma ha aggiunto che «è assolutamente estraneo alla prassi e agli orientamenti di tutto l’ufficio ogni e qualsiasi sottovalutazione del seppur minimo approccio costrittivo nei rapporti interpersonali tra uomo e donna, in quelli che involgano la libertà in generale e quella sessuale in particolare», prendendo così le distanze, se non nel merito dell’indagine investigativa, dalle motivazioni del suo sostituto procuratore.

Ma in quale altra professione un dipendente può permettersi di non rendere conto del proprio operato soprattutto quando ha causato gravi danni? E dove i capi-azienda, in simili circostanze, hanno la sola facoltà di muovere “timidi” rimproveri? Che valore fattivo possono avere le parole del senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri: “Il pm (ndr: Antonio Bassolino) va cacciato dalla magistratura!” quando non esistono leggi e norme che lo consentono? Lo sa il senatore Gasparri che se qualcuno o qualcosa “cacciasse” un pubblico ministero, l’Anm (Associazione Nazionale Magistrati), buona parte del mondo politico, e gli opinionisti di grido, tuonerebbe che si è in presenza di un inaccettabile ed antidemocratico attacco al principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura? Ma esiste l’assoluta indipendenza? E questa pretesa “indipendenza” del magistrato, che diventa religione, non corre il rischio di portarlo a ritenersi infallibile, quasi come una divinità? In questo caso è quanto mai scontato che ritenga giusto non rispondere del proprio operato!

Nell’Italia repubblicana, nata dalla Resistenza, i cittadini non hanno ancora il sacrosanto diritto di pretendere dallo Stato che un magistrato che sbaglia risponda, secondo gravità, delle conseguenze del suo errore! Se finalmente accettassimo, anche nella giurisprudenza, la fallibilità dell’Uomo, sia esso Pontefice, magistrato o chirurgo, saremmo già a metà dell’opera, della soluzione del problema. Il magistrato che commette errori, che genera disagi e pene spesso irreversibili (vedi caso emblematico di Enzo Tortora), non deve essere criminalizzato e linciato sulla “pubblica piazza”. Il magistrato deve rispondere in sede giudiziaria del suo errore, ma soprattutto deve essere valutato da una commissione interdisciplinare al fine di individuare, con la metodologia scientifica utilizzata per gli incidenti aerei, i processi mentali e strutturali che lo hanno condotto all’errore, al fine di minimizzare la probabilità che un simile errore possa, da chiunque, essere nuovamente commesso.

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