Sotto attacco è l'Occidente

Il recente attacco terrorista di Hamas allo stato di Israele ha, con fanatismo e barbaro cinismo, ucciso oltre 1000 cittadini ebrei, feriti oltre 2800 e, con una vera mattanza, decapitato nel kibbutz di Kfar Aza oltre 40 bambini. Hamas è una organizzazione estremista politico-religiosa palestinese fondata nel 1987 con l’obiettivo di liberare la Palestina dall’occupazione ebraica insediando uno Stato islamico al posto di quello di Israele.

Dando uno sguardo storico alle vicissitudini del popolo ebraico si possono constatare continue persecuzioni. Nel II secolo d.c. l’imperatore romano Adriano annientò la maggior parte della popolazione ebraica (circa 580.000 morti). Nel VI secolo i Bizantini proibirono la fede israelita dichiarandola fuorilegge. Nel XIII secolo Edoardo I li espulse dall’Inghilterra dopo aver ucciso i capi famiglia ebrei. Nel XIV secolo furono ripetutamente espulsi dalla Francia e perseguitati nell’Europa occidentale. Nel XV secolo circa 200.000 ebrei vennero espulsi dalla Spagna e altri 137.000 dalla Sicilia. Nel XVI secolo venne creato il primo ghetto ebraico d’Europa a Venezia. Nel XVII secolo il cosacco ucraino Bohdan Chmel'nyc'kij capeggiò una strage in cui vennero uccisi circa 65.000 ebrei. Nel XVIII secolo gli arabi cacciarono tutti gli ebrei aschenaziti (germanici) da Gerusalemme. All’inizio del XX secolo più di 6.000 ebrei vennero uccisi dalle popolazioni russe. Dal 1938 al 1945, con l’Olocausto (Ha Shoah), la Germania nazista sterminò metodicamente milioni di ebrei in Europa. Nel 1987 iniziò la prima intifada (rivolta) contro Israele e la nascita di Hamas.

Dalla Storia emerge quindi che il popolo ebraico è stato spesso vittima di razzismo, esili e stermini. Perché? Proviamo a ripercorrere la storia del popolo ebraico. Le origini del popolo ebraico sono incerte. Le prime informazioni si trovano nella letteratura ellenistica per identificare le tribù che apparvero in Palestina nel II millennio a.C. guidate dal patriarca Abramo. Abramo, la cui storia è testimoniata solo nella Bibbia e poi ripresa nel Corano, è il capostipite del popolo ebreo e di quello arabo. Nel racconto biblico Yahweh, Dio, fece un patto con Abramo: gli ordinò di trasferirsi dalla Mesopotamia nella terra di Canaan e, nonostante l’avanzata età della moglie, gli promise un figlio, Isacco, e un'innumerevole discendenza (Genesi 11-25). In cambio ne chiese la cieca obbedienza. Nato Isacco, infatti, Dio ne impose il sacrificio: Abramo rispettando il patto, si accinse al sacrificio ma Dio gli fermò la mano ed è per questo che Abramo è considerato l’eroe della fede e della cieca obbedienza a Dio. Sempre nella Bibbia si racconta della secolare schiavitù del popolo ebraico in Egitto e del suo ritorno, guidato da Mosè, nella terra promessa.

Dal punto di vista storico, però, il racconto biblico non è affidabile. Le prime fonti storiche risalgono a circa il 1200 a.C., anni in cui, nell’area degli attuali Israele, Palestina, Libano e Giordania, si sviluppò una società di pastori seminomadi, suddivisa in clan e tribù e con lingua semitica. Qui, intorno al 900 a.C., alcune di queste tribù istituirono il regno d’Israele con capitale a Samaria ma nell’VIII sec. a.C., gli Assiri distrussero la città e deportarono i suoi abitanti in Mesopotamia. Più a sud emerse poi il regno di Giuda con capitale Gerusalemme con l’importante tempio dedicato a Yahweh distrutto nel VI secolo a.C. dal re babilonese Nabucodonosor che deportò parte degli abitanti in Babilonia. È a questo periodo che gli storici fanno risalire la scrittura dei primi libri della Bibbia e l’inizio del culto monoteista di Yahweh, un dio in relazione col suo popolo, sensibile alla fedeltà e alla moralità. Si diffusero presso il popolo ebraico anche alcuni riti, come la circoncisione e il riposo del sabato, nonché la volontà di mantenere intatta la propria identità evitando ogni mescolanza con altre genti e altre tradizioni. Circa settanta anni dopo, l’imperatore persiano Ciro conquistò Babilonia a consentì agli ebrei di tornare a Gerusalemme. Il regno di Giuda diventò quindi una provincia persiana, senza re e governata dai sacerdoti del tempio. È di questo periodo la diaspora ebraica ovvero la diffusione di comunità ebraiche in diverse città, sempre più lontane dalla Palestina, pur mantenendo salde nei secoli l’identità e le tradizioni culturali e religiose. Nel I secolo a.C. i romani conquistarono la Giudea e nel 70 d.C., per reprimere una rivolta scoppiata a Gerusalemme, l’esercito romano saccheggiò la città e distrusse il tempio causando una nuova diaspora. Tra di ebrei della Giudea, si distinse Gesù che, dichiarandosi figlio di Dio, diede vita al cristianesimo.

La religione cristiana, nata dunque dalla tradizione ebraica, diventò presto la religione di stato dell’Impero Romano e poi la religione più diffusa dell’Europa medievale. Le due religioni convissero tranquillamente fino all’XI secolo quando si inaugurò la stagione delle crociate in cui le comunità ebraiche furono oggetto di violenza ed esclusione. I musulmani dell’impero islamico invece erano più tolleranti, sia con i cristiani, che con gli ebrei: non li costringevano a convertirsi, ma imponevano loro il pagamento di una tassa. Nel 1492, in Spagna, sia gli ebrei che i musulmani furono costretti a “scegliere” fra la conversione al cristianesimo e l’esilio. Moltissimi ebrei dovettero andarsene e migrarono soprattutto nell’Africa settentrionale e nei territori dell’impero ottomano. Nel XV e XVI secolo, l’ostilità e l’odio nei confronti degli ebrei da religioso iniziò a trasformarsi in razziale: gli ebrei erano considerati diversi, avidi e infidi. Fra il XVII e il XVIII secolo, con i neonati stati nazionali europei, gli ebrei iniziarono ad essere considerati cittadini come gli altri e con l’illuminismo furono apprezzati il loro dinamismo economico e la cultura media elevata che possedevano. Eppure, a fine Ottocento sopravviveva ancora un diffuso antisemitismo a cui, negli anni Trenta del Novecento, fece appello Adolf Hitler che, durante la Seconda guerra mondiale, sterminò milioni di ebrei. Dopo la fine della guerra, l’assemblea generale delle Nazioni Unite deliberò l’istituzione dello stato d’Israele in Palestina. Le conseguenze furono: il popolo ebraico arrestò (almeno teoricamente) la diaspora, gli arabi palestinesi cominciarono a subire il processo di colonizzazione da parte degli ebrei che migravano in Palestina, e infine il territorio da allora fu condizionato dalla presenza di Israele.

Lo Stato di Israele, quindi, è molto giovane ed è stato costituito sostanzialmente dai vincitori della Seconda guerra mondiale per rispondere ad una pressante richiesta degli ebrei di poter finalmente approdare alla terra promessa, secondo il patto di Abramo con Dio, dove poter vivere in serenità e sicurezza dopo aver subito uno sterminio per mano della Germania nazista.

A questo punto mi sorgono una serie di domande: possiamo veramente stupirci se i palestinesi non tollerano la vicinanza con uno Stato a regime democratico tipico del modello occidentale? Forse il problema scaturisce dall’odio profondo che alcune popolazioni del pianeta nutrono verso il nostro stile di vita occidentale e quindi verso i valori di libertà e uguaglianza? A seguito dell’attacco terroristico di Hamas, molte piazze di paesi democratici occidentali si sono infiammate a favore del popolo palestinese arrivando anche a trovare delle ragioni al gesto terroristico, ma perché giovani occidentali, abituati da sempre a vivere in democrazia e in libertà, sono dalla parte di chi, come Hamas o come lo stato teocratico dell’Iran, negano questi valori? A quest’ultima domanda Federico Rampini, in una recente intervista, ha contributo a dare una risposta: «Il primo sintomo di decadenza è in questo paradosso: consideriamo l’Occidente come il centro del mondo mentre non lo è più; al tempo stesso gli attribuiamo tutte le sofferenze dell’umanità, riconduciamo ogni male alla nostra responsabilità. È l’auto-demolizione dei nostri valori. Nell’ignoranza profonda della storia globale, molti di noi credono che l’imperialismo, le pulsioni di conquista, i comportamenti predatori siano una colpa della razza bianca. (…) Chi è prigioniero del complesso di colpa di fronte al crimine dell’aggressore deve sempre chiedersi dove abbiamo sbagliato noi. Poi entra in azione un ventaglio di tradizioni anti-americane, per cui il vero aggressore criminale può essere sempre e soltanto l’America. Nelle università di élite, con rette da 70.000 dollari annui, il potere accademico pratica un conformismo totalitario che abbraccia le cause radicali (…) Si insegna che il razzismo è una tara genetica della sola razza bianca. (…) La storia vera viene trasformata in una caricatura grottesca. Il capitalismo che ha sventrato la classe operaia e impoverito il ceto medio ora si rifà una coscienza con queste battaglie valoriali, pur di nascondere la grande questione sociale. Gli estremisti, i radicali che una volta erano l’anti-sistema, hanno imparato a sedurre i miliardari. (…)».

È giusto poter lottare, anche aspramente, per degli ideali politico-sociali: il valore di una società liberale e democratica è che chiunque ha il diritto di esprimere e di difendere le proprie idee. Ciò nonostante, anche se si è contrari ad alcuni aspetti delle democrazie occidentali, al capitalismo a volte selvaggio, al cinismo verso i più fragili da parte di chi ha avuto di più dalla vita, non significa che si debba essere solidali con società autocratiche/dittatoriali dove la “parola” di un profeta, a volte solo tramandata, diventa legge dello Stato. Lottare con forza e determinazione contro alcune cose che riteniamo sbagliate nelle nostre democrazie non deve necessariamente ridurci sudditi di autocrati, dittatori e improvvisati Dio in terra!

Il 16 ottobre 2023 a Bruxelles un terrorista ha ucciso due cittadini svedesi al grido “Allah akbar” (Allah è grande). In un video su Facebook l’uomo, proclamandosi «guerriero sul cammino di Allah», rivendica l’atto con vanto: «Ho ucciso tre svedesi (in realtà i morti sono due e un ferito, ndr), sia lodato Allah. Ho vendicato i musulmani, viviamo e moriamo per la religione. Questo è il messaggio di un soldato dello Stato Islamico». Questo ennesimo atto di terrorismo islamico-fondamentalista in seno all’Europa sembra confermare che la jihad (guerra santa contro gli infedeli) non ha come obiettivo strategico lo stato di Israele ma tutti i cittadini del mondo che non sono rigorosamente osservanti dell’Islam: atei, buddisti, cristiani, ebrei, protestanti, di qualsiasi Stato essi siano.

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