Diritti (e rovesci) dell'assicurazione

Una dottoressa di Milano, dipendente dall’Agenzia delle Accise, durante l’orario di lavoro, che svolgeva in smart working presso la propria abitazione, ha inviato una e-mail all’azienda chiedendo il permesso di assentarsi dal posto di lavoro per andare a “prendere” a scuola la figlia di sette anni. Durante il tragitto verso la scuola, che dista circa un chilometro e mezzo dalla sua abitazione, è caduta provocandosi una distorsione al piede destro e delle escoriazioni al ginocchio sinistro. Recatasi al pronto soccorso, ha denunciato di essere stata vittima di un incidente sul luogo di lavoro. L’Inail (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), ha ritenuto che l’infortunio non fosse avvenuto per rischio lavorativo bensì per il verificarsi di un rischio generico incombente su qualsiasi cittadino e comune al vivere quotidiano e quindi non ha preso in considerazione la denuncia della dottoressa.

La dipendente ha fatto ricorso richiedendo 10.766,46 euro per l’indennizzo, 71.519,58 euro per l’indennità giornaliera, 345,61 euro per le cure mediche nonché il rimborso delle spese legali. Al ricorso l’Inail si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto del medesimo. Il 7 luglio 2024 il Tribunale di Milano Sezione Lavoro in base alla legge vigente e a precedenti sentenze della Cassazione, ha emesso la seguente sentenza: “accertato che la dottoressa ha subito un infortunio, con postumi invalidanti, in occasione di lavoro in quanto il permesso era inderogabile perché di dovere genitoriale, non si sono rilevate deviazioni dal percorso indicato nel permesso, ritiene che la sospensione dell’attività lavorativa in questione trova copertura nelle norme dell’ordinamento lavoristico e di conseguenza condanna l’Inail a corrispondere un indennizzo di 9.811,86 euro più 345,51 euro per le cure mediche e 4.000 euro per le spese di lite”.

In uno Stato di diritto le leggi si applicano e le sentenze si rispettano: solo il “popolo sovrano” tramite il Parlamento può intervenire sull’“impianto” legislativo. In questo caso, quindi, nulla da eccepire sulla sentenza emessa dal Tribunale, che è giuridicamente conforme alla legge.

Quello su cui riflettere è se sia corretta una legge che sancisce l’obbligatorietà da parte dell’Inail di risarcire l’infortunio ad un lavoratore che durante un permesso espleta attività, anche se meritorie, non attinenti ai compiti lavorativi per cui è retribuito. Poiché la missione dell’Inail è quella di assicurare i cittadini lavoratori per incidenti sul lavoro, perché sono stati allargati i confini della competenza includendo i percorsi al di fuori delle attività lavorative? Perché se vado a casa devo essere coperto mentre se vado in palestra, che magari è sulla strada per andare a casa, no? Quanto incide questa copertura sulla spesa Inail? Inoltre, questa copertura assicurativa tiene conto della distanza e della “rischiosità” del percorso tra posto di lavoro, che può cambiare ogni giorno, e la propria dimora, che può richiedere anche transiti autostradali? Le tabelle dei parametri di rischio Inail contemplano le attività lavorative e non i possibili percorsi, né i mezzi utilizzati! In uno Stato “ideale” tutti i cittadini, solo per il fatto di essere al mondo, dovrebbero avere diritto alla migliore e completa assistenza socio-sanitaria, ma questo è sostenibile in uno Stato “reale” che per erogare i servizi di assistenza può fare conto solo sulle tasse che pagano i cittadini?

print_icon