L'eterno scontro tra toghe e politica

Venerdì 14 ottobre 2024 il tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento di 12 migranti presso i centri per richiedenti asilo costruiti dall’Italia in Albania, motivando la decisione con «l'impossibilità di riconoscere come Paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell'inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal Protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia». In definitiva i due Paesi da cui provengono i migranti, Bangladesh ed Egitto, non sono stati ritenuti sicuri, anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia Europea (CGUE) del 4 ottobre 2024 che ha stabilito che: un paese può essere designato come "sicuro" solo se lo è per tutti i suoi cittadini e sull'intero territorio nazionale. In pratica per essere “sicuro” un Paese deve avere un ordinamento democratico e rispettare la libertà e i diritti civili di tutti i cittadini.

 Il Governo Italiano ha stabilito che nei centri di asilo costruiti in Albania possano essere ospitati solo migranti uomini in buono stato di salute (non donne, bambini o persone fragili) che provengono da Paesi sicuri, da cui non c’è ragione fondata di scappare per chiedere asilo in Italia. Qui per i migranti vengono svolti gli adempimenti e le formalità di frontiera vagliando la loro richiesta di asilo tramite una procedura accelerata. I giudici del tribunale di Roma hanno ritenuto che Bangladesh ed Egitto non fossero Paesi sicuri perché non viene garantito, in tutto il territorio e verso ogni categoria di persone, il rispetto dei diritti. La sentenza della Corte di Giustizia Europea non fornisce un elenco degli Stati sicuri ma permette ad ogni Stato membro di stilare il proprio. In Italia il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha emanato la sua lista di “Paesi sicuri” tramite un “decreto amministrativo”. Il “decreto amministrativo”, non avendo forza di legge, non è vincolante in giudizio ed è per questo motivo che il tribunale di Roma non ne ha tenuto conto.

 Dopo la querelle esplosa tra Governo e Magistratura, nella seduta del 21 ottobre 2024, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che, sulla base di criteri stabiliti dalla normativa europea, interviene a porre la lista dei “Paesi di origine sicuri” come parte integrante del decreto. Per rendere vincolante, anche per i giudici, l’applicazione di tali disposizioni, il decreto è stato inserito in una legge di natura primaria e il nuovo elenco, composto da 19 paesi, verrà sottoposto a verifica annuale. Una domanda viene spontanea: perché la lista dei Paesi ritenuti sicuri dall’Italia non è stata subito oggetto di un decreto legge? Visto i molteplici e decennali casi di scontro politica-magistratura possibile che non si sia ancora imparato a “prevenire” piuttosto che “curare”? Luca Ricolfi, nell’editoriale “Paesi sicuri, la grande ipocrisia” del 20 ottobre 2024, ha scritto: «A me pare che, alla base, quello cui stiamo assistendo sia lo scontro fra due visioni generali al momento del tutto incompatibili». E le due visioni sono: quella “chiusurista”, condivisa dai governi di destra, in cui è necessario limitare gli ingressi sul proprio territorio, e quella “aperturista”, favorita dai governi progressisti, in cui i migranti possono entrare incondizionatamente.

È per risolvere questo conflitto che è stato introdotto il concetto di “Paese sicuro”. Ma le sue definizioni, sia nelle legislazioni nazionali sia in quelle europee, sono «così ambigue, confuse e farraginose da lasciare larghi margini di interpretazione ai giudici, siano essi nazionali o europei. Da questo punto di vista l’ira dei politici contro i giudici appare abbastanza fuori bersaglio: se scrivi Leggi poco univoche, non puoi poi lamentarti se i giudici le interpretano secondo la loro visione del mondo, che è tendenzialmente (e intransigentemente) pro-diritti umani». Dalla definizione di “paese sicuro” sembra che si possano tollerare le violazioni dei diritti umani se limitate a porzioni di territorio o a certe categorie di persone. «Ma chi stabilisce se un paese è sufficientemente democratico? Chi stabilisce quanto piccole devono essere le porzioni di territorio insicure, o quanto irrilevanti debbano essere le categorie perseguitate per poter concedere a un Paese lo status di paese “sicuro nonostante”?

Quello che non possiamo permetterci è di non cercare un compromesso fra le due opposte visioni del problema migratorio. Perché la visione chiusurista non può che condurre a gravi violazioni dei diritti umani dei migranti, ma quella aperturista non può non portare ad altrettanto gravi violazioni dei diritti dei cittadini europei, primo fra tutti il diritto alla sicurezza». Il filosofo e giurista francese Montesquieu, nel suo scritto “De l'esprit des lois”, nel 1748, ha teorizzato il principio della separazione dei poteri su cui si basa l’organizzazione di uno Stato di diritto quale l’Italia dovrebbe essere. I tre poteri sono: il potere legislativo, esercitato dal parlamento come espressione del “Popolo sovrano” che ha votato i propri rappresentanti; il potere esecutivo, esercitato dal governo, come espressione della maggioranza parlamentare, ovvero della coalizione di partiti che hanno ottenuto il maggior numero di seggi in Parlamento; il potere giudiziario, esercitato dalla magistratura, a cui si accede per tipologia di studi e per concorso, come espressione “burocratica” dello Stato.

Nel 1947, per proteggere lo Stato da derive dittatoriali-oligarchiche, vennero stabiliti, nella Costituzione italiana, i rapporti tra i tre poteri in modo da renderli indipendenti tra loro. Ne consegue che condizione necessaria affinché uno Stato di Diritto possa definirsi “compiuto”, è che esista l’opportuno bilanciamento tra i tre poteri. Tra i tre poteri l’unico che, nel suo esercizio, può togliere la libertà sia ad un cittadino, condannandolo alla reclusione, sia ad una impresa, condannandola “a morte” per fallimento, è il potere giudiziario. Ma il potere giudiziario deve svolgere la sua attività solo ed esclusivamente all’interno del perimetro delle leggi deliberate, in nome del Popolo, dal Parlamento. A tal riguardo è significativo quanto affermato, dal costituzionalista Sabino Cassese in una intervista resa al quotidiano Il Dubbio nel 2023: «Così come viene oggi esercitato da singoli magistrati o dall’Associazione nazionale dei magistrati, il diritto di manifestare il proprio pensiero travalica la separazione e l’equilibrio dei poteri. Spetta al Parlamento dettare le norme dell’ordinamento giudiziario. Singoli magistrati o associazioni dei magistrati possono esprimere opinioni motivate e documentate. Non possono condurre vere proprie battaglie, polemiche, fare contestazioni. Se lo fanno, da un lato, vanno oltre l’esercizio della loro funzione, dall’altro assumono posizioni che non corrispondono al modello dell’imparzialità (…) Bisogna evitare che si abbia l’impressione che esiste un “partito dei magistrati”. Se questo accade, sorge subito la domanda successiva: il “partito dei magistrati” agisce in funzione del buon funzionamento della giustizia, oppure opera strumentalmente alla difesa di sfere di potere della magistratura o dei singoli magistrati?

A questo va aggiunta la necessità che la magistratura diventi veramente indipendente. La condizione di questa indipendenza è che non partecipi agli altri poteri dello Stato, quello esecutivo-governativo e quello legislativo. Se una quota così cospicua di magistrati è impegnata nelle amministrazioni, a partire dal ministero della Giustizia, nei gabinetti ministeriali, nelle autorità indipendenti, che sono corpi appartenenti ad altri poteri dello Stato, il principio della separazione dei poteri e quello di indipendenza della magistratura non sono rispettati e, come dichiarava una delle prime Carte costituzionali francesi, uno Stato che non ha una separazione dei poteri non ha una Costituzione». Infatti anche Nicola Gratteri, Procuratore capo di Napoli, nel novembre 2023, durante il convegno “Etica, Legalità ed Economia”, ha dichiarato: «La Giustizia non può essere un indotto. Abbiamo 250 magistrati fuori ruolo che non scrivono sentenze e non fanno p.m. ma sono consulenti dei Ministeri. Così non va!» Legiferare è una funzione importante e complessa. Il parlamento in Italia non deve essere una “macchina” che emana leggi in quantità industriali, leggi scritte in forma incomprensibile che si sovrappongono tra loro generando una entropia istituzionale che non ha eguali in Europa (abbiamo circa 160 mila norme, di cui poco più di 71 mila approvate a livello nazionale e 89 mila dalle Regioni e dagli Enti locali). Un groviglio legislativo che è 10 volte superiore alla somma complessiva del numero di leggi presenti in Francia (7.000), in Germania (5.500) e nel Regno Unito (3.000) (fonte CGI di Mestre del 16 dic 2023).

È da “teatro dell’assurdo” che la Politica accusi la Magistratura di fare “politica” nell’interpretare le leggi, quando è la stessa politica che in Parlamento emana quelle leggi tanto ambigue che si prestano facilmente, a volte anche in buona fede, ad interpretazioni che variano anche di 180 gradi! Legiferare significa scrivere e modificare “leggi” tenendo conto di quale impatto reale avrà la sua esecuzione in relazione anche alle altre leggi già esistenti. La Legge deve essere un monito a non delinquere e non un ginepraio in cui trovare la scappatoia per commettere scorrettezze! Così come per il violinista Giuseppe Gibboni, vincitore della 56ª Edizione del Premio Paganini, è oneroso e difficile continuare a studiare ed esercitarsi per suonare a quel livello, anche per il parlamentare svolgere al meglio il suo compito (fare le leggi) è un’attività onerosa e difficile. Solo chi ha talento e mette molto impegno e passione nel suo lavoro, come Giuseppe Gibboni, può calcare i migliori teatri del mondo suonando il proprio violino, gli altri devono spesso accontentarsi di suonare solo per diletto o al più nelle feste di paese. Questo dovrebbe valere anche per i parlamentari che non a tutti i costi devono calcare il “palcoscenico” di Montecitorio. Chi ritiene troppo oneroso o difficile svolgere questo “lavoro”, è meglio che, per non creare danno all’Italia e agli italiani, si applichi in tutt’altro campo!

 

 

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