Democrazia, il male minore
Alfredo Quazzo 08:36 Mercoledì 20 Novembre 2024 0
Lo storico Andrea Ghiringhelli in un editoriale pubblicato l’11 marzo 2024 su “la Ragione” scrive: “Non è sorprendente la recita che ci è offerta dalla politica; è semplicemente la vecchia abitudine che si ripete. Parto da lontano. Platone aveva auspicato il governo dei migliori, ma il tempo e le vicende ricorrenti ci hanno mostrato che l’auspicio del filosofo è fuori portata. A guardare quel che sta succedendo, mi vien da pensare (…) che la democrazia così come si presenta oggi sembra proprio dar ragione all’Anonimo ateniese che, intorno al V secolo a.C., riteneva la democrazia un sistema politico che non ha a cuore il bene di tutti, ma il beneficio dei peggiori e dei meno dotati. La nostra democrazia liberale non è quella degli antichi, ma oggi è più che mai presente il governo dei peggiori (…). Il pensiero democratico ha tante virtù ma anche un problema: punta sul numero e non sulla qualità. (…) Lo sappiamo: la democrazia presuppone cittadini preparati e informati, ma oggi – sembra paradossale – siamo piuttosto malmessi e a farla da padrona è l’ignoranza. E talvolta, visto l’esito, ho l’impressione che sia il voto a “nobilitare” l’ignoranza. Sì, perché se a votare sono cittadini disinformati e non informati la rapida involuzione della politica e dei politici verso la mediocrità è assicurata. (...) Infatti è il senso di estraneità, il rifiuto, la sfiducia nella politica e nei politici a costituire la caratteristica del nostro tempo. (…) Astensionismo, crescita dei vari populismi, ne sono la conseguenza”.
In seguito alla rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, il giornalista Beppe Severgnini, che sembra dar seguito a quanto scritto da Andrea Ghiringhelli, nel suo editoriale pubblicato l’8 novembre 2024 scrive: “La vittoria di Donald Trump è netta e istruttiva. Ma sostenere che rappresenti un passo avanti per la democrazia sembra azzardato. (…) l’importanza dell’affidabilità e della coerenza, per un leader politico, è passata in secondo piano. Quello che dice conta più di ciò che fa. Mostrarsi virtuoso rischia addirittura d’essere controproducente: potrebbe allontanare gli elettori, che si sentirebbero sminuiti. I giornali americani hanno elencato puntigliosamente le falsità con cui il presidente-rieletto ha farcito discorsi e comizi. (…) non ha fatto alcuna differenza, anzi: sembra aver favorito il candidato repubblicano. (…) «Non sono migliore di voi. Sono peggiore. Perciò votatemi!» sembra la nuova formula magica della democrazia americana. E dall’America, si sa, noi importiamo molte cose. Sfogare gli istinti e sfoggiare i difetti è diventato un modo per rassicurare quegli elettori — e sono tanti — che detestano le critiche. Chi regala approvazione incondizionata è popolare; chi avanza proposte è noioso; chi solleva obiezioni, insopportabile. (…) Aristocrazia significa, com’è noto, governo dei migliori. Oggi siamo alla kakistocrazia, il governo dei peggiori, orgogliosi di esserlo; o, almeno, felici di sembrarlo (…) Le parole «Dài il buon esempio!» sono la colonna sonora di molte, lontane infanzie italiane. E ciò che si chiedeva a un primogenito o a un capoclasse si pretendeva da un primo cittadino o dal capo del governo. (…) Oggi essere etichettato come «un buon esempio» non è solo anacronistico: è rischioso. (…) Un cattivo esempio è rassicurante, per molti elettori: vale un’assoluzione preventiva. Se è la nuova strada scelta dalla democrazia, prepariamoci al peggio.” La “democrazia”, che al tempo di Platone era considerata la meno buona delle forme buone e la meno cattiva delle forme cattive, nelle analisi moderne viene descritta sulla base delle diverse forme di governo.
Come scrive il prof. Angelo Panebianco nel suo ultimo libro “Principati e Repubbliche” “(…) la democrazia è, prima di tutto, un’arena ove gruppi di élite competono per il consenso popolare, vincolate da regole che disciplinano la competizione. Una conseguenza, un effetto collaterale, è che nella democrazia – a differenza di tutti gli altri regimi politici (comprese le monarchie: se manca l’erede la competizione può diventare violenta) – le lotte per la successione al potere avvengono in modo pacifico”.
È altresì singolare che qualunque regime contemporaneo, indipendentemente dalla forma di governo, si definisca ‘democratico’! Il termine “kakistocrazia” (dal greco antico kákistos, “pessimo” e krátos, “comando”), anche detta peggiocrazia, è stato usato più volte dal filosofo della politica Michelangelo Bovero che ne ha proposto una ridefinizione originale. Bovero chiama kakistocrazia una forma di governo che riunisce in sé la degenerazione della monarchia, dell'aristocrazia e della democrazia. Bovero immagina una costituzione che sia la combinazione delle forme degeneri di queste tre forme di governo, cioè della tirannide (potere arbitrario che si impone con la forza), dell'oligarchia (potere nelle mani di pochi, eminenti per forza economica e sociale) e dell’oclocrazia (predominio politico della massa). Il risultato è appunto la kakistocrazia. La democrazia di per sé non garantisce uno Stato “perfetto”, né con le sue leggi, né con il voto concesso a tutti i cittadini a prescindere dal censo, dal grado di istruzione, dal genere ecc. Quanti innocenti sono morti nelle carceri delle democrazie? Quanti cittadini sono privati della libertà perché in attesa di giudizio? Quanti esseri umani sono in stato di grave indigenza? Quanti cittadini hanno fatto rapide carriere senza averne il merito? La risposta è senza indugio: troppi!! ma quale alternativa reale abbiamo? Vogliamo forse limitare il voto solo ai cittadini acculturati? E quale asticella culturale e di intelligenza deve raggiungere il cittadino per essere degno di “votare” il governo dei migliori?
Nel secondo secolo a.C. Polibio, nelle sue Storie, scriveva: “Finché sopravvivono cittadini che hanno sperimentato la tracotanza e la violenza (…), essi stimano più di ogni altra cosa l’uguaglianza di diritti e la libertà di parola; ma quando subentrano al potere dei giovani e la democrazia viene trasmessa ai figli dei figli di questi, non tenendo più in gran conto, a causa dell’abitudine, l’uguaglianza e la libertà di parola, cercano di prevalere sulla maggioranza; in tale colpa incorrono soprattutto i più ricchi. Desiderosi dunque di preminenza, non potendola ottenere con i propri meriti e le proprie virtù, dilapidano le loro sostanze per accattivarsi la moltitudine, allettandola in tutti i modi. Quando sono riusciti, con la loro stolta avidità di potere, a rendere il popolo corrotto e avido di doni, la democrazia viene abolita e si trasforma in violenta demagogia”, che è l’altro modo di chiamare l’oclocrazia.
È da sottolineare che massa e popolo non sono sinonimi. La massa è un insieme di persone inerti che ha bisogno di essere spinta da qualcuno a fare qualcosa, per questo è facilmente manovrabile da chiunque ne sappia sfruttare gli istinti o le impressioni: la massa è sempre pronta a seguire questa o quella bandiera a seconda di come tira il vento. Il popolo, invece, è un insieme di persone consapevoli dei propri doveri oltre che dei propri diritti, persone che hanno precise responsabilità a cui cercano di assolvere come meglio possono e che hanno il senso del bene comune. Se Trump è stato rieletto presidente è perché in una democrazia non esiste il concetto di divieto anticipato a governare. Chi dovrebbe vietarlo? Se la maggioranza dei cittadini americani avessero considerato Trump non degno di governare, avrebbe potuto democraticamente non votarlo, e invece, dopo aver valutato quanto fatto dal governo uscente, lo ha democraticamente “rispedito” alla Casa Bianca. Fare le regole per scegliere i migliori è molto “critico” e poi chi mai potrebbe farlo? Meglio scegliere il minore dei mali e, per dirla con Giorgio Bocca: “È la democrazia, bellezza!”.