Sono sempre dazi amari
Alfredo Quazzo 08:46 Martedì 24 Dicembre 2024 0
Il 5 luglio 2024 è apparsa sulla Gazzetta dell’Ue, e quindi è entrata ufficialmente in vigore, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Csddd), ovvero la direttiva che obbliga alcuni tipi di impresa a identificare, prevenire e, ove necessario, mitigare o eliminare gli impatti negativi che possono esserci su diritti umani e su ambiente. Gli Stati membri Ue dovranno, entro due anni, trasformare la direttiva in legge nazionale.
La Csddd, o Direttiva Europea 2024/1760, ha l’obiettivo di responsabilizzare, in forma legale, le grandi imprese sugli impatti ambientali e/o sociali che possono essere generati da ognuna delle attività svolte lungo l’intera supply chain, ovvero lungo l’intero processo che si sviluppa dal flusso di materie prime necessarie ai processi di produzione, fino alla logistica distributiva che provvede a far arrivare il bene acquistato al cliente, comprendendo anche le attività svolte dalle aziende partner coinvolte. Gli obblighi previsti dalla direttiva, validi per le imprese Ue, verranno applicati a scaglioni secondo la seguente scaletta temporale a partire dall’entrata in vigore: entro 3 anni, cioè entro il 2027, per le aziende con più di 5000 dipendenti e 1.500 milioni di euro di ricavi netti; entro 4 anni (2028) per le aziende con più di 3.000 dipendenti e 900 milioni di euro di ricavi netti; entro 5 anni (2029) sia per le aziende con più di 1.000 dipendenti e 450 milioni di euro di ricavi netti sia per le aziende con più di 80 milioni di euro di ricavi netti che abbiano stipulato accordi di franchising con terze parti indipendenti in cambio di diritti di licenza superiori a 22,5 milioni di euro. Ovviamente le implementazioni promosse dai Gruppi saranno valevoli anche per le controllate.
Indirettamente gli stessi obblighi ricadranno anche sulle Micro/Piccole/Medie Imprese (pmi) e sulle aziende non Ue che si trovino sulla supply chain di quelle obbligate, secondo i tempi di queste ultime. Infatti, in un “sistema” in cui il bene/servizio si generi attraverso la cooperazione tra aziende locali ed estere, grandi e pmi, la sua qualità totale dipende, come ci insegna la teoria dei sistemi, dalla qualità del suo anello più debole. Per questo nell’analisi di un sistema complesso è fondamentale ricercare gli anelli che sono o potrebbero in futuro avere più probabilità di diventare deboli.
Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia, nel suo intervento al seminario “A Fragmenting Trading System: where we stand and implications for policy” ha affermato: «Il protezionismo non è una soluzione (…). Le spinte verso il protezionismo e la divisione in blocchi non sono la soluzione ai problemi anzi, porterebbero a perdite di efficienza e di benessere per tutti (…) L'economia globale è estremamente complessa nei suoi commerci, investimenti e interconnessioni finanziarie, tentativi di dividerla in blocchi contrapposti farebbe più male che bene (…). Dobbiamo evitare l’illusione che misure globali generalizzate che erigono barriere protezionistiche (come per esempio i dazi, ndr) siano la soluzione ai nostri problemi: le misure generalizzate sono come usare un coltello da cucina per eseguire interventi chirurgici complessi».
Eppure, alcuni politici dimostrano un’alta tentazione di voler proporre i dazi per proteggere l’economia nazionale. Il dazio doganale è una barriera artificiale alla libera circolazione di beni tra Paesi, che nasce per ragioni di politica economica e commerciale. Infatti, le imposte daziali mirano a far aumentare il prezzo del bene/servizio importato da un determinato Paese, per proteggere dalla concorrenza estera la medesima tipologia di bene/servizio prodotto nello Stato importatore. Dal punto di vista tributario, i dazi possono essere considerati delle imposte indirette che si applicano alla Dogana e che vanno a costituire un introito fiscale per lo Stato.
All’inizio del Regno d’Italia, esistevano dazi tra tutti i Comuni, ma, per cercare di creare coesione, il 20 marzo 1930 con il Regio Decreto-Legge n.141 fu decretato che: “(…) sono abolite le cinte daziarie dei Comuni chiusi e sono inoltre aboliti in tutti i Comuni del Regno (…) i dazi di consumo istituiti dai Comuni (…)”. Oggi la lealtà sulla concorrenza è regolamentata dall’articolo 2598 del Codice civile, la sicurezza sul lavoro dal D.Lgs 81/2008 ed il rispetto dell’ambiente dalla legge costituzionale “11 febbraio 2022 n. 1 pubblicata dalla Gazzetta ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2022.
Mi domando: se un Paese rispetta la direttiva europea Csddd e gli articoli sopraelencati, per quale motivo deve essere soggetto a restrizioni daziali? Nell’attuale sistema economico-produttivo globalizzato, il mercato dovrebbe autoregolarsi attraverso la “concorrenza leale” dei vari attori che operano nel sistema. Mi sorge quindi il dubbio che per alcuni politici, dietro al nobile movente di salvaguardare la nostra economia, si celino motivi politico-geografici che rispondono solo a logiche politico-ideologiche. Sono convinto che, in un sistema di mercato libero e democratico, le aziende più efficienti ed efficaci, sia sotto il profilo produttivo sia sotto quello gestionale, devono poter prosperare anche attraverso la sana competizione.
Un Sistema-Paese è tanto più forte quanto riesce a fruire di ottimi prodotti/servizi a “buoni” prezzi. La grossolana pratica dei dazi caratterizza un Paese “al ribasso”, un Paese che avendo paura di competere sul piano internazionale cerca di difendersi proibendo l’accesso al mercato ai competitors più efficienti. Se in Coppa Davis il nostro tennista Sinner, che quasi sempre risulta essere il più efficiente e performante, fosse assoggettato ad un handicap (dazio) nel gareggiare con tennisti di altri Paesi, magari utilizzando racchette che pesano 10kg, potremmo ritenere il fatto come un “male” necessario al miglioramento del tennis nazionale o lo giudicheremmo come un’ingiusta penalizzazione, una pratica che mortifica la meritocrazia?