Una protesta che mina lo Stato

Per poter meglio giudicare le riforme di legge che vengono varate dal nostro Parlamento, ritengo indispensabile rinfrescarci le idee su come è organizzato lo Stato, su quali siano i suoi poteri, su quale sia il ruolo del Presidente della Repubblica e su quale sia l’iter delle leggi. La descrizione dell’ordinamento della Repubblica Italiana e della sua organizzazione, al fine di poter rispettare la Costituzione ed esercitare i poteri attribuiti, è riportata nella parte seconda della nostra Costituzione.

I poteri dello Stato sono: 1) Potere legislativo (ovvero proposta, discussione e approvazione delle leggi) che spetta al Parlamento; 2) Potere esecutivo (ovvero attuazione delle leggi emanate dal Parlamento) che spetta al Governo; 3) Potere giudiziario (ovvero controllo del rispetto delle leggi emanate dal Parlamento) che spetta alla Magistratura.

Il primo organo dello Stato è il Parlamento, eletto dal popolo a suffragio universale e diretto. Esso è formato dalla Camera dei Deputati (400 deputati con età minima di 25 anni, eletti ogni 5 anni dai cittadini maggiorenni) e dal Senato (200 senatori con età minima di 40 anni eletti ogni 5 anni da cittadini che hanno compiuto i 25 anni di età). Il Parlamento oltre a legiferare deve: eleggere il Presidente della Repubblica e approvare il bilancio di Stato, cioè deve stabilire come reperire e come spendere i “soldi” che servono all’organizzazione del Paese.

Il secondo organo di Stato è il Governo, composto dal Presidente del Consiglio e dai ministri che, nel loro insieme, costituiscono il Consiglio dei Ministri. Il Governo deve godere della fiducia delle due Camere, ovvero del Parlamento. Ogni ministro è responsabile del proprio dicastero mentre il Presidente del Consiglio deve mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.

Il terzo organo è la Magistratura che si compone di magistrati (giudici, ovvero la funzione giudicante che decide sulle controversie, e pubblici ministeri, ovvero la funzione requirente che svolge le indagini). Compito della Magistratura è l’amministrazione della giustizia in nome del popolo. A garantire l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura da ogni altro potere, è stato istituito il Consiglio superiore della magistratura (Csm), presieduto dal Presidente della Repubblica e composto da magistrati ordinari eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Compito del Csm sono anche assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati. L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria mentre l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia sono di competenza del Ministro della giustizia (appartenente al Governo).

A capo dello Stato vi è il Presidente della Repubblica che, eletto dal Parlamento, resta in carica 7 anni. Chiunque abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici, può essere nominato Presidente della Repubblica. Oltre a rappresentare lo Stato in tutti i consessi, il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questi, i ministri che costituiscono il Governo. Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa, presiede il Consiglio superiore della magistratura, può concedere grazia, commutare le pene e conferire le onorificenze della Repubblica.

Nella Costituzione, all’articolo 39, sono regolate anche le organizzazioni sindacali che, come rappresentanti di specifiche categorie di lavoratori o di datori di lavoro in un rapporto lavorativo, possono stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. L’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), che oggi si impone all’attenzione sui media, non è un sindacato ma una associazione di categoria senza alcun rilievo costituzionale. Nata a Milano nel 1909 come Associazione generale dei magistrati, l’Anm, non ha potere di contrattazione sulle retribuzioni perché stabilite con decreto ministeriale. L’articolo 2 dello statuto dell’Anm enuncia la propria missione: operare affinché “il carattere, le funzioni e le prerogative del potere giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato, siano definiti e garantiti secondo le norme costituzionali”; “propugnare l’attuazione di un ordinamento giudiziario che realizzi l’organizzazione autonoma della magistratura in conformità delle esigenze dello Stato di diritto in un regime democratico”; “tutelare gli interessi morali ed economici dei magistrati, il prestigio ed il rispetto della funzione giudiziaria”; “promuovere il rispetto del principio di parità di genere tra i magistrati in tutte le sedi associative”. Ma queste funzioni non sono già espletate come compiti costituzionali dal Csm (art. 104 e 105 della costituzione)?

Per quanto concerne l’iter delle leggi, si ricordi innanzi tutto che le leggi nascono da delle proposte che possono giungere dai parlamentari, dai Consigli Regionali oppure da almeno 50.000 cittadini. La proposta viene esaminata dalla Camera dei Deputati e poi da quella del Senato che possono approvarla, rigettarla o modificarla sino a quando non soddisferà entrambe le Camere. Una volta approvata, la legge viene promulgata dal Presidente della Repubblica e quindi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale affinché, entro 15 giorni dalla pubblicazione, venga tassativamente rispettata dai cittadini, nessuno escluso.

Alla luce di questo contesto, credo sia più facile valutare quanto è successo in seguito alla proposta che il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex magistrato, ha presentato per la riforma costituzionale con la separazione delle carriere dei magistrati (tra giudicanti e requirenti) al quale il 16 gennaio scorso il Parlamento ha dato il primo via libera. La Camera dei deputati ha approvato in prima lettura il testo con 174 voti a favore, 92 voti contrari e 5 astenuti. Si tratta del primo via libera perché, essendo una riforma costituzionale (Titolo IV), sono necessarie quattro approvazioni conformi da parte dei due rami del Parlamento (due alla Camera dei Deputati e due al Senato). Inoltre, qualora nelle ultime due letture il testo non venisse approvato da almeno i due terzi in entrambe le Aule, sarebbe necessario effettuare il referendum confermativo.

Si ricordi che, oltre a poter intraprendere l’iter per partecipare ai concorsi per diventare magistrati, coloro che si laureano in Giurisprudenza possono affrontare la carriera forense ovvero quella di avvocato. E proprio Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense (organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana), a proposito della proposta su citata, ha dischiarato: «Il sistema italiano, tra l’altro, è un’anomalia nel panorama europeo. In quasi tutti i paesi europei, in particolare quelli con principi democratici e liberali paragonabili all’Italia, le carriere di giudici e pubblici ministeri sono separate. In Germania, Francia, Svizzera, Austria, Portogallo e Olanda, per esempio, questa distinzione è già realtà. Addirittura, in Germania non esiste il Csm: le carriere, le promozioni e gli avanzamenti dei magistrati sono decisi dai funzionari dello Stato. Il nostro sistema rappresenta un’eccezione tutta italiana».

A riprova della “singolare” situazione in cui si trova l’Italia in tema di Giustizia, basti vedere l’affronto che i magistrati iscritti all’Anm hanno messo in atto durante la cerimonia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario che si è tenuta il 24 gennaio 2025 presso la Corte di Cassazione e il 25 gennaio presso le 26 Corti di Appello, alla presenza del Presidente della Repubblica, nonché Presidente del Csm. La cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario è un’occasione di pubblico dibattito sull’amministrazione della giustizia e pertanto intervengono anche rappresentanti degli organi istituzionali, cioè titolari di pubblici poteri, rappresentanti dell’Avvocatura e il Procuratore generale. Ebbene: il comitato direttivo dell’Anm ha deliberato di partecipare alle cerimonie ma di abbandonare l'aula nel momento in cui il ministro Nordio o un suo rappresentante avessero preso la parola.

Come ciliegina sulla torta l’Anm ha indetto per il prossimo 27 febbraio lo sciopero dei magistrati contro la riforma della Giustizia proposta e già approvata in prima istanza dal Parlamento: il terzo potere dello Stato (Giudiziario) sciopera contro le decisioni del primo potere dello Stato (Parlamento) perché non è d’accordo su quanto ha deliberato?!?

Dal momento che in Italia il Parlamento è l’unico rappresentante del popolo sovrano, possiamo tollerare che il Potere Giudiziario, in nome del popolo, si opponga al popolo? Quale altra categoria può permetterselo senza rischiare la “galera” o il “manicomio”? In uno Stato democratico e di diritto sia chi ha ricevuto dagli elettori il mandato di rappresentarli sia chi appartiene per scelta professionale alla magistratura deve attenersi scrupolosamente ai dettami costituzionali e quindi non deve invadere l’uno le funzioni dell’altro. Per chi siede in Parlamento o al Governo è impossibile, anche se lo volesse fare, esercitare l’attività di un magistrato in quanto né chi governa né chi siede in Parlamento può indagare, inviare avvisi di garanzia, emettere restrizioni cautelari, arrestare un cittadino, indurre alle dimissioni un Presidente di Regione e men che meno giudicare. Ma allora perché a un magistrato è consentito, come è successo all’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, di protestare vistosamente contro disegni di legge democraticamente approvati, anche se solo in prima istanza, dal Parlamento? E perché, pur essendo i magistrati classificati come servizi pubblici essenziali, la loro associazione, Anm, può dichiarare uno sciopero?

Mi sovviene un fatto successo il 14 novembre 1985 quando l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ritirò la convocazione di una riunione del plenum del Csm, di cui era presidente, in quanto erano state inserite cinque pratiche sui rapporti tra capi degli uffici e loro sostituti sull’assegnazione degli incarichi. Ritenendo che la questione non fosse di competenza del plenum, Cossiga avvertì che se la riunione avesse avuto luogo avrebbe preso «misure esecutive per prevenire la consumazione di gravi illegalità». I consiglieri del Csm si opposero con un documento e si riunirono ugualmente. In breve tempo affluirono i blindati dei carabinieri presso la sede del Csm, e due colonnelli dell’Arma vennero inviati a seguire la seduta. Ma il caso fu subito risolto: il vicepresidente del Csm, Giovanni Galloni, pur essendo in contrasto con Cossiga, non permise la discussione. A tal proposito Corrado Guzzanti il 25 luglio 2021 scrisse sul Riformista: “(…) Allora come oggi il Csm era un ente che dovrebbe tutelare gli italiani dai rischi di una magistratura di parte e che è diventato lo strumento di potere delle correnti più partigiane. (…) La parte dello Stato che – allora come oggi – tramava per sostenere quella parte della magistratura che pretenderebbe di fare le leggi anziché rispettarle perinde ac cadaver (“nello stesso modo di un cadavere” ndr), tentò di far saltare la presidenza di Cossiga facendolo internare con certificato medico per sostituirlo con un direttorio di sedicenti che avrebbe dovuto rispristinare la dittatura giustizialista. La struttura eversiva di oggi è la stessa, per forma e per contenuti”.

Forse oggi, più che mai, la Repubblica dovrebbe rinverdire quelle caratteristiche “patriottiche”, anche se all’apparenza “pittoresche”, del Presidente Francesco Cossiga, prima che, l’abuso del “politicamente corretto” possa creare le condizioni politico-sociali, per un “catastrofico incidente” alla nostra democrazia!

print_icon