Piccoli comuni, l'unione e la legge
Stefano Scabellone 12:07 Lunedì 10 Marzo 2025 0
I comuni del Piemonte sono 1180. Di questi 1045, l’89%, sono “piccoli comuni” cioè comuni inferiori ai 5000 abitanti. Ancora più dettagliatamente il 51%, in valore numerico 603, sono comuni inferiori ai 1000 abitanti. Il D.L. 30 aprile 2019, n. 34 “Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi” stanziava 50.000,00 euro per diverse annualità di fondi per i comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti. Questi fondi, che originariamente erano 80 mila, sono stati azzerati per l’anno 2025. I piccoli comuni si trovano così, da quest’anno, privati di una risorsa fondamentale che andava ad incentivare interventi per opere pubbliche in materia di: a) efficientamento energetico, compresi interventi volti all'efficientamento dell'illuminazione pubblica, risparmio energetico degli edifici di proprietà pubblica e di edilizia residenziale pubblica, nonché all'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili; b) sviluppo territoriale sostenibile, compresi interventi in materia di mobilità sostenibile, interventi per l'adeguamento e la messa in sicurezza di scuole, edifici pubblici e patrimonio comunale e per l'abbattimento delle barriere architettoniche.
Moltiplicando 50 mila per il numero dei comuni interessati abbiamo il risultato che dal 2025 sul territorio della regione verranno a mancare risorse destinate prevalentemente alla manutenzione del territorio per oltre 52 milioni di euro. Risorse destinate agli interventi indicati sopra che rischiano di rimanere incompiuti o di cui non sarà più possibile garantirne la sostenibilità. Un problema che diventa particolarmente grave per quel 52% di comuni che non raggiungono la soglia dei mille abitanti. In questi comuni vivono 1.239.132 di persone, cioè oltre un quarto della popolazione del Piemonte, una città di un terzo più grande di Torino.
Per quanto riguarda la funzione di gestione del territorio la situazione si presenta ancora più stringente. Infatti, i comuni sotto la soglia dei 5000 abitanti comprendono la parte più rilevante del territorio regionale, oltre il 78%. Questo vuol dire che la governance e la gestione delle problematiche di manutenzione e sviluppo del 78% del territorio della regione è di competenza di quei comuni che faticano nella gestione dei servizi. Nell’area della Città Metropolitana, cioè la provincia, di Torino i piccoli comuni sono 249 sul totale di 312. In questi comuni ci abitano circa 380 mila persone. Per ciò che riguarda il territorio i 249 comuni sono competenti per la gestione di circa il 74% del territorio della provincia di Torino. Quindi, anche in questo caso, tre quarti del territorio della provincia ricade sotto la competenza di quei comuni che faticano nella gestione dei servizi.
Tuttavia, bisogna dire, che gran parte di questi comuni partecipano a forme associative attraverso unioni di comuni, per le quali si rinvia alle pagine successive l’attenzione rispetto alle problematiche della governance e alle incentivazioni statali e regionali. Inoltre, bisogna considerare che, per quanto riguarda il territorio regionale, per il 43% si tratta di territorio montano. In questo territorio insistono 333 comuni montani che, pertanto, devono farsi carico della gestione di circa la metà del territorio della regione. Per ciò che riguarda la provincia di Torino la percentuale del territorio montano sale al 52% e i comuni che hanno il carico della sua gestione sono circa 1/3 di quelli della provincia, cioè 105 su 312. Diventa impellente porsi il problema della governance del territorio in queste realtà in quanto questo territorio, che si estende per i tre quarti del territorio complessivo della regione, è gestito da enti che hanno enormi difficoltà a reperire risorse economiche, tecniche e strumentali; difficoltà nel reperire le professionalità idonee alla definizione e alla esecuzione di quella progettualità necessaria alla manutenzione e al miglioramento del territorio per garantirne lo sviluppo e la capacità di erogare servizi.
Se i comuni potessero essere paragonate a persone, abusando della memoria di Menenio Agrippa, con una metafora si potrebbe pensare ad una grande estensione di terreno dove al centro vi abitano, ben serviti da strade solide e ben strutturate, persone con un reddito che gli consente di farsi carico della realizzazione e della manutenzione di bei giardini e belle case; mentre tutto intorno vi abitano, per quasi l’80% di questo terreno, persone con basso reddito e che hanno difficoltà non soltanto nel costruire qualcosa di nuovo, ma ancor più hanno difficoltà a mantenere e a sostenere ciò che già possiedono.
È ovvio che essendo tutti cittadini dello stesso territorio i problemi dei secondi si ripercuoteranno sul benessere dei primi dal momento che, come direbbe il nostro Menenio, fanno parte di un unico corpo. Quale potrebbe essere la soluzione per mettere i piccoli comuni nelle condizioni di farsi carico in modo efficace dei problemi del territorio, considerato che non è un problema che riguarda soltanto la disponibilità di risorse economiche ma coinvolge complessivamente la capacità istituzionale, amministrativa, tecnica e professionale di governo del territorio. Non esiste una sola risposta rispetto alla problematica complessa della gestione e del governo del territorio. Tuttavia, uno degli strumenti previsti dal legislatore è rappresentato dalla gestione associata dei servizi delle funzioni dei piccoli comuni per consentire a questi di superare quel limite della dimensione che rappresenta un ostacolo alla sostenibilità dei servizi e delle attività.
In quest’ottica possiamo dire con Borghi che “in buona sostanza, pianificazione strategica, pianificazione economica, pianificazione strutturale, informatizzazione, trasporti, marginalità si governano attraverso livelli di integrazione infracomunali sia sul piano metropolitano sia sul piano montano e rurale attraverso le aree vaste e attraverso le unioni dei comuni. Governare i territori significa individuare le vocazioni economiche, gli interventi infrastrutturali e di servizio connessi con queste vocazioni economiche, pianificare nel medio periodo i servizi amministrativi e le connesse scelte pluriennali e di bilancio.” (Enrico Borghi, Piccole Italie, Donzelli 2017).
Il Decreto-Legge 27 dicembre 2024, n. 202 “Disposizioni urgenti in materia di termini normativi”, cosiddetto decreto milleproroghe, convertito nella L. 21 febbraio 2025, n. 15 ha abrogato alcune disposizioni previste dal D.L. n. 78/2010 relativamente all’obbligo di esercizio associato delle funzioni fondamentali dei piccoli comuni2 in particolare rispetto ai termini e le proroghe e al potere sostitutivo e commissariamento in caso di inadempienza da parte dei comuni. Non è ancora chiaro se intenzione del legislatore sia di abrogare l’obbligo oppure di prevedere una forma diversa per l’attuazione dell’obbligo di gestione associata delle funzioni e dei servizi per i comuni inferiori ai 5000 abitanti. Possiamo comunque dire che permane un principio, sancito sempre dal D.L. n. 78/2010 secondo cui i comuni al di sotto dei 5000 abitanti “esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali” (art. 14 c. 28) e avviano l’esercizio delle funzioni fondamentali “nell’ambito della normativa regionale ... entro il termine indicato dalla stessa normativa”. Quindi permane l’obbligo e permane la competenza delle regioni alla regolamentazione del suo esercizio.
Qui si inserisce la sentenza della Corte Costituzionale n. 33/2019 che dichiara illegittimo il principio di obbligatorietà della gestione associata laddove il comune, obbligato e non, sia in grado di “dimostrare, al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, del Comune obbligato, non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento”. Le Regioni non possono obbligare i comuni alla gestione associata in quanto si tratta di assumere disposizioni che interverrebbero sull’ordinamento degli enti e pertanto non può che essere di competenza statale. Infatti, una tale forma di intervento produrrebbe delle differenze tra ordinamenti che riguarderebbero le singole regioni rispetto all’esercizio dell’obbligo e ciò è chiaramente inammissibile. Pertanto, non bisogna parlare di obbligo ma di gestione della programmazione di livello sovracomunale nelle materie di competenza regionale nei confronti della quale permane in capo ai comuni la “facoltà” di aderire o meno. Tuttavia, se tale “facoltà” si trova ad essere limitata e vincolata da parte di una normativa regionale superiore in ragione di una necessità di programmazione di bacino o di area, la gestione associata del servizio ritorna ad essere prerogativa di un ente sovracomunale in grado di rispettare le economie di scala, i termini di efficacia e di efficienza e di ogni prerogativa prevista dalla stessa Sentenza 33/2019 per ottenere l’esonero dall’obbligo di gestione associata. È ciò che già si verifica in ambito regionale per l’erogazione di servizi e beni pubblici quali quelli socioassistenziali, con l’istituzione dei consorzi, oppure per la gestione della raccolta dei rifiuti urbani. Alla stessa stregua sarebbe possibile prevedere degli ambiti ottimali di gestione per servizi quali protezione civile, polizia locale oppure servizi scolastici, in particolare in ambito montano o laddove l’eccessiva frammentazione dei piccoli comuni e le dimensioni demografiche non consentono, a volte anche per effetto della normativa statale, di istituire il servizio.
Ovviamente non tutto passa per i comuni, né a livello di promozione dello sviluppo o di gestione del territorio in quanto esistono competenze che riguardano livelli superiori di responsabilità istituzionale di governo. Ma la domanda è come si pensa che sia possibile promuovere grandi progetti e grandi opere se si lasciano sguarniti quei territori su cui queste dovrebbero riportare le ricadute in termini di benefici ma anche dei disagi che spesso queste imprese comportano? Non sarà per questo che troppo spesso assistiamo ad uno scollamento tra chi vive il territorio nella sua realtà quotidiana e le istituzioni che di esso si occupano per i grandi progetti di sviluppo nazionali o sovranazionali? Da questo punto di vista porsi il problema della governance del territorio è porsi il problema della coesione sociale ed istituzionale di un grande Paese. La riforma della Legge regionale n. 11/2012 apre una nuova opportunità di intervento nella materia relativa alla gestione delle funzioni, dei servizi e dei beni pubblici da parte degli enti locali e quindi della governance del territorio e della sua identità culturale, istituzionale e politica.