Quella nostalgia (errata) dell'Urss
Alfredo Quazzo 09:25 Domenica 23 Marzo 2025 0
Secondo Nando Pagnoncelli, sondaggista e amministratore delegato di Ipsos Italia, la maggioranza assoluta (57%) degli italiani non sostiene né l’uno né l’altro dei paesi belligeranti. Un terzo circa (33%) parteggia per l’Ucraina, l’11% invece per la Russia. Sul tema ReArm Europe il 28% è favorevole, il 39% contrario e un terzo non si esprime. Un’indagine sull’opinione pubblica italiana, condotta dal European Council on Foreign Relations, ha rilevato che il 56% degli italiani ritiene la Russia responsabile per lo scoppio della guerra, mentre il 27% attribuisce la responsabilità all’Ucraina, all’Unione Europea o agli Stati Uniti: una percentuale significativamente alta!
Forse per comprendere il motivo per cui molti italiani non si schierano con il Paese aggredito (Ucraina) ma sostengono il Paese aggressore (Russia), è necessario fare un salto nel passato. Nel 1946, alle prime elezioni politiche della Repubblica, il Partito Comunista Italiano ebbe il 19,9% dei voti, alle elezioni politiche del 1976 era già al 34,4% e alle elezioni europee del 1984, con il 33,33% dei voti, diventò il primo partito italiano sorpassando la Democrazia Cristiana con il suo 32,97%. Il Pci cominciò a governare in molte amministrazioni comunali conquistando numerose città italiane. Durante tutto questo periodo il faro guida della popolazione “rossa”, come testimonia il don Peppone di Guareschi, è stata l’Urss e il suo regime monopartitico retto dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Credo che, ancora oggi, siano ancora quelle stesse ragioni ideologico-sociali a far sì che una buona parte dei cittadini italiani non condannino la Russia per l’invasione ai danni dell’Ucraina.
L’incapacità di un’analisi dei fatti “laica” impedisce ai nostalgici dell’Urss di prendere atto che la Russia oggi non è più uno stato comunista. Con Putin la Russia, che negli anni Novanta aveva introdotto un modello economico di tipo capitalistico molto liberale, dal 2003 si è indirizzata verso un capitalismo oligarchico sotto il ferreo controllo di un solo uomo al comando che dispensa incarichi a persone ritenute fedeli. Credo anche che la confusa conoscenza degli avvenimenti che hanno causato la caduta dell’Unione Sovietica, porti ad interpretazioni complottistiche che attribuiscono tale caduta all’occidente ed in particolare agli Stati Uniti. Negli anni 60/70 in Italia lo slogan “America go home!” era diventato simbolo di una protesta contro l’“imperialismo americano” e contro la presenza sul nostro territorio di basi militari Nato per la difesa dell’Europa. Eppure, erano trascorsi solo una ventina d’anni da quando il 25 aprile 1945 gli italiani avevano festeggiato l’arrivo dei soldati americani che ci avevano liberato dal nazifascismo!
Parlando con alcune persone “antiamericane” ho rilevato che hanno in comune una buona parte di “convinzioni”. Sono convinti che il terrorismo sia stato “inventato” dagli imperialisti americani; che tutti i mali del mondo di oggi siano frutto degli americani; che l’America non sia più in grado di dettare regole al mondo e che sarebbe meglio lo facesse la Russia di Putin; che con l’avvento di Putin la Russia sia tornata ad esprimere la potenza militare dell’Urss e che in Russia si sia raggiunto un elevato benessere economico-sociale, mentre negli Stati Uniti sia in atto una recessione con conseguente abbassamento del benessere del popolo americano. E non parliamo del riarmo dove le accalorate discussioni prendono fuoco per un “no-arms”!
A rafforzare il pensiero ricorrente, il 18 marzo 2025 il presidente Vladimir Putin, tramite un messaggio video, è intervenuto al Congresso dell’Unione russa degli industriali e degli imprenditori affermando che “il declino del predominio occidentale e l’emergere di nuovi centri di crescita globale è una tendenza a lungo termine”.
Sulla convinzione di un Occidente ormai povero e allo sbando, penso possa replicare Federico Rampini: “Non ho mai scritto (o pensato) che l’America sia un’isola felice. (…). Però i dati bisogna saperli leggere con attenzione. Partendo da quelli su Chicago che è una delle città peggio amministrate d’America (forse perfino peggio di New York e San Francisco). Il 12% di poveri (e qui in America la definizione ufficiale di povero è chi ha un reddito individuale sotto i 22.000 dollari annui se single e 44.000 dollari con famiglia), significa che l’88% non lo sono. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, semmai di vedere il bicchiere per i nove decimi pieno e per un decimo vuoto. Inoltre, la percentuale è pesantemente influenzata dal fatto – come si evince da questi stessi dati – che il tasso di povertà è molto più alto tra gli immigrati recenti (…) tra i migranti e richiedenti asilo la maggioranza sono giovani. (…) la povertà americana è molto influenzata dal fatto che questo paese continua ad accogliere flussi enormi di stranieri (…). Certo, “l’America non è un’isola felice, ha enormi problemi” eppure leggendo dobbiamo prendere atto che i Paesi con più elevato indice di benessere sono quasi tutti appartenenti al “nefasto” Occidente e che comunque non solo negli Stati Uniti si sta decisamente meglio che nella federazione Russa ma addirittura il nostro “disastrato” Paese ha una qualità della vita di molto superiore alla Russia di Vladimir Putin!