Il lavoro che cambia

C’è chi considera il lavoro come merce, chi come colpa da espiare, per altri invece è l’essenza dell’uomo. In qualsiasi modo lo si voglia concepire, il lavoro sta diminuendo per tutti. Qualcuno sostiene che sono i giovani che non vogliono lavorare, invece no, è la società che è cambiata. Dalla produzione dei beni siamo passati a un’economia basata sull’immaterialità. Sulla cultura, intesa, secondo le definizioni dell’antropologia, come bagaglio sia di carattere ideale, sociale (usi e costumi della comunità) e materiale, cioè costituito dai manufatti.

L’Italia è l’emblema di questo processo di trasformazione della società da industriale a post-industriale. Non ci sono grandi industrie, l'estensione territoriale è limitata e la popolazione non è numerosa ma siamo l’ottavo paese al mondo per il prodotto interno lordo. Perché la maggior parte delle persone lavora nei servizi, nell’informazione, svolge professioni di carattere intellettuale. Lavori che stancano mentalmente, per cui è impensabile produrre dieci ore al giorno. Ma anche gli unici per cui l’uomo non può essere sostituito dalle macchine.

Con l’avanzamento della tecnologia, dal telaio meccanico all’intelligenza artificiale, il lavoro si è velocizzato e diminuito. Non è più l’elemento centrale della vita e della nostra democrazia, anche tempo libero e studio hanno acquisito spazio, dobbiamo prenderne atto. Riducendo l’orario di lavoro per evitare che il numero dei disoccupati continui a crescere. I soldi non si fanno con le ore lavorate ma con la ricchezza prodotta. Perché una persona munita di computer produce molto di più di un lavoratore con la zappa.

In Italia lavoriamo il 20 per cento in più per produrre il 20 per cento in meno. Perché la nostra produttività è scarsa: meno tecnologia, imprenditori e manager meno preparati. Abbiamo anche un problema con la cultura di base: tra gli adulti soltanto il 23 per cento è laureato. Su 100 persone che finiscono le superiori, 40 frequentano l’università, 23 si laureano alla triennale, 19 alla magistrale. Sono percentuali bassissime.

L’essere umano, al contrario della macchina, è impreciso e lento. Così, mentre ci sono cose per cui servono velocità e precisione, per altre no. Resta indispensabile l’apporto dell’uomo. Per avere un’idea c’è bisogno di formazione e di tempo libero. Dobbiamo produrre più idee, perché sono queste che servono per crescere. Sono alla base di ogni innovazione tecnologica.

*Roberto Faranda, Fast Confsal Piemonte

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