Fate presto o restiamo fermi

Hanno ragione i trasportatori: la realtà delle infrastrutture di trasporto del Nord-Ovest, e in particolare del Piemonte, non è mai stata così problematica da trentotto anni, cioè da quando – grazie al grande impegno degli onorevoli Botta, Calleri e Froio – venne ultimata l’autostrada per Bardonecchia e, prima ancora, la nostra Tangenziale (sebbene rimasta incompleta). Per viaggiare verso la Liguria c’erano cinque corsie: tre sulla A26 e due sulla A6. Oggi, da sette anni, ne funzionano solo tre, e di notte sono spesso chiuse. Da due anni, inoltre, per circa cento giorni all’anno, è chiuso il traforo del Monte Bianco.

Se il sindaco di Torino e il presidente della Regione Piemonte si prendessero una giornata e, a bordo di una jeep, si facessero un giro fino a Genova per osservare il traffico verso il primo porto italiano – un porto che crea 120.000 posti di lavoro tra diretti e indiretti, di cui 17.000 occupati nelle aziende di logistica piemontesi – e, dopo un piatto di pesce, tornassero passando da Savona, imboccando poi la Savona-Torino per rientrare, si renderebbero conto di persona del perché la logistica in Italia costa più che all’estero. E siccome sono due persone dotate di una certa sensibilità, riuscirebbero per qualche minuto a immedesimarsi negli autotrasportatori, costretti ogni giorno a districarsi tra cantieri, strettoie e deviazioni. Ci vorranno ancora tre anni, infatti, prima che i lavori vengano completati.

Nel frattempo, una volta ultimata la nuova diga del porto di Genova – il porto tanto amato da Cavour, che le infrastrutture le costruiva prima, per far crescere l’economia – i traffici cresceranno del 50%. Ma non tutte le merci potranno utilizzare il Terzo Valico.

I lavori ferroviari verso la Francia, come ha onestamente dichiarato il direttore di Telt, Maurizio Bufalini, termineranno solo nel 2033 e entreranno in funzione nel 2034. Nel frattempo, l’economia piemontese non crescerà più della media nazionale, che già sappiamo essere bassa. Oggi le regioni che crescono più della media sono la Lombardia e la Liguria.

Perché sono così preoccupato? Non solo perché sento mie le difficoltà dei trasportatori e delle aziende di logistica, che ogni giorno contribuiscono al funzionamento del nostro sistema economico e sociale. Sono preoccupato come un medico specializzato nella circolazione che, mentre esegue un ecodoppler al paziente, si accorge che il flusso è quasi dimezzato e prescrive immediatamente le cure necessarie. Ma, mentre le medicine iniziano a fare effetto in poco tempo, le strozzature infrastrutturali richiedono anni per essere risolte. Basta vedere i tempi biblici dell’Asti-Cuneo o della Tav.

L’altro giorno, agli Stati Generali della Logistica, l’ex sindaco oggi presidente della Liguria Marco Bucci ha seguito i lavori dall’inizio per comprendere a fondo un settore fondamentale per il funzionamento dell’economia e della vita sociale. Ha concluso il suo intervento sottolineando l’esigenza di creare una Macroregione – come propongo da anni – collegata da un sistema di infrastrutture moderne ed efficienti, capace di favorire una maggiore crescita economica e un rilevante interscambio culturale.

Una nota positiva dell’incontro, a dieci anni dal primo, è stata la presenza di amministratori francesi. Quando sarà finalmente completata la tanto attesa Tav, infatti, la regione di Lione sarà più vicina a Torino che a Parigi. La “Tav Valley” – formata da quattro regioni, tre italiane e una francese – produrrà un PIL complessivo superiore ai 700 miliardi, con oltre trenta atenei e centri di ricerca, e con la presenza di aziende d’eccellenza come Spea, Alenia, Leonardo, Ferrero, Lavazza e molte altre.

La Tav Valley non avrà nulla da invidiare alla Silicon Valley. È per questo che ieri i cattolici pro-Tav hanno scritto una lettera ai responsabili con un appello chiaro: “Fate presto!”. Perché con una logistica più efficiente cresceranno il lavoro, il pil, e viaggiare sarà molto più comodo per tutti.

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