Passo avanti per la giustizia giusta
Alfredo Quazzo 08:51 Domenica 02 Novembre 2025 0
La separazione delle carriere tra magistrati giudicanti (giudici) e magistrati requirenti (pubblici ministeri) necessita, per diventare legge, di una modifica della Costituzione italiana che, attualmente (art.104 e art 105 della Carta costituzionale), prevede giudici e pubblici ministeri appartenenti allo stesso ordine giudiziario. Per modificare un articolo della Costituzione la procedura è alquanto complessa.
L’iniziativa di modifica può essere fatta dal Governo, da un parlamentare, dai Consigli regionali o da almeno 50.000 elettori. Il progetto di modifica deve poi essere approvato da entrambe le camere (Camera dei deputati e Senato), due volte ciascuna, con un intervallo di almeno 3 mesi tra una lettura e l’altra. Alla prima lettura deve essere raggiunta la maggioranza semplice (metà + 1) mentre alla seconda votazione, per ogni Camera, devono essere favorevoli almeno i due terzi dei componenti. Se nella seconda lettura si raggiunge solo la maggioranza semplice è necessario confermare se la riforma può diventare legge attraverso il referendum popolare. Il referendum, a sua volta, deve essere richiesto da 1/5 dei membri di una Camera, da 500.000 elettori, oppure da 5 Consigli regionali. L’esito del referendum, che non richiede un quorum di partecipazione, permetterà l’entrata in vigore della legge se vinceranno i “Sì”, la respingeranno se vinceranno i “No”.
Indipendentemente dal metodo di approvazione, la legge verrà promulgata dal Presidente della Repubblica, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore dopo 15 giorni salvo diversa disposizione.
Il 30 ottobre 2025 la legge relativa alla separazione delle carriere dei magistrati è stata approvata in Senato nella sua quarta e ultima lettura (112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astenuti) ma non ha raggiunto la maggioranza dei due terzi; quindi, la legge non può entrare in vigore senza un referendum.
La separazione delle carriere delinea con maggiore chiarezza i ruoli tra chi accusa e chi giudica migliorando la “terzietà” percepita nei confronti del magistrato giudicante. Alcuni temono che tale provvedimento possa ridurre l’indipendenza del pm creando un potenziale rischio di assoggettamento all’esecutivo, altri sono convinti che, con l’istituzione di un apposito Csm che li regola, il loro potere potrebbe aumentare. Senza dubbio non si può affermare che sia un attacco alla costituzione italiana, né rappresenta una deriva verso un “fascismo/comunismo” strisciante.
Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense (organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana), a proposito della proposta su citata, ha dichiarato: «Il sistema italiano, tra l’altro, è un’anomalia nel panorama europeo. In quasi tutti i paesi europei, in particolare quelli con principi democratici e liberali paragonabili all’Italia, le carriere di giudici e pubblici ministeri sono separate. In Germania, Francia, Svizzera, Austria, Portogallo e Olanda, per esempio, questa distinzione è già realtà. Addirittura, in Germania non esiste il Csm: le carriere, le promozioni e gli avanzamenti dei magistrati sono decisi dai funzionari dello Stato. Il nostro sistema rappresenta un’eccezione tutta italiana».
Secondo il sondaggio dell’8 ottobre scorso da parte dell’Istituto Noto, il 60% degli italiani dichiara che andrà a votare, mentre il 23% non si recherà alle urne. C’è poi una percentuale del 17% di indecisi. Di quanti hanno espresso la propria intenzione di andare a votare, il 53% si è dichiarato favorevole alla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente, il 28% è contrario, mentre il restante 19% è indeciso.
Deve essere chiaro che l’introduzione della “separazione delle carriere” non ha come obiettivo l’accorciamento dei tempi processuali, anche se importantissimo, ma quello di avere una giustizia più giusta con un reale bilanciamento tra difesa ed accusa e soprattutto con un giudice che deve essere, come afferma la Costituzione, “terzo”. Poiché magistrati giudicanti e magistrati requirenti, svolgendo attività diverse e delicate, non dovrebbero appartenere agli stessi Uffici. L’obiettivo della riforma è quello di diminuire sensibilmente il numero dei cittadini costretti dai magistrati requirenti ad entrare nel “tritacarne processuale” per poi, dopo anni di odissee, essere assolti con formula piena per “non aver commesso il fatto” o per “vizi procedurali”.
Il tritacarne, in questo modo, sarebbe meno ingolfato di “procedimenti-pazzi” e il funzionamento generale della macchina giudiziaria ne avrebbe un beneficio. Certamente il tritacarne necessita di altre azioni di efficientamento per ridurre gli insopportabili tempi della giustizia. Il velocizzare i tempi della giustizia, però, può solo garantire assoluzioni e condanne in tempi più veloci, non renderle più giuste. Paradossalmente se si rendesse prioritaria la velocità dei processi rispetto al “giusto processo” potrebbero esserci velocissime condanne comminate a cittadini innocenti!
Elly Schlein in una conferenza stampa del 30 ottobre scorso ha dichiarato che per la presidente del consiglio Meloni “l’obiettivo non è di aiutare gli italiani né di migliorare la giustizia. Serve a lei e a questo governo per avere le mani libere e per essere al di sopra delle leggi e della Costituzione”. Forse la segretaria del Pd prima di giudicare sempre tutto e tutti in “bianco o nero” dovrebbe confrontarsi con i suoi colleghi di partito che hanno “sperimentato” sulla propria pelle il tritacarne della giustizia, ad esempio Stefano Esposito (di cui ho scritto il 12 dicembre 2024 in “Esposito torni in politica”) o l’ex sindaco di Ancona Fabio Sturani che dopo 15 anni di persecuzione giudiziaria è stato assolto con formula piena ma con gravi danni economici e carriera politica/professionale distrutta.



