Un manifesto di idee e azione

Una politica sfilacciata e spesso incompetente, imprenditori autoreferenziali, un sindacato fin troppo conservatore. È questo il panorama in cui si muove una Torino in cerca di riscatto. Spesso ci affidiamo ai luoghi comuni: la città si svuota, Mirafiori chiude, Stellantis disinveste. Ci si affida alla speranza, necessaria, ma oggi serve la Resistenza. Arretrare per consolidare, aggirare per trasformare. Intanto partire da un criterio su cui basare l’azione, poi metterci un’analisi e colmare il vuoto della stessa con studiosi e esperti, dopo il vuoto lasciato da Beppe Berta, per rilanciare. Nel 1995, durante la vertenza Alenia il sindacato scelse la parola “arroccamento” per definire la sua strategia, ovvero difendere ciò che era possibile e quindi non il tutto ma l’indispensabile per sopravvivere e ripartire e oggi Alenia/Leonardo è viva e sana.

Nel ripartire da Mirafiori per il futuro di Torino, intanto si dovrebbe stabilire chi guida: le confederazioni o la categoria? La giusta iniziativa fatta il 12 giugno sebbene sia uscita dal guscio categoriale e ideologico dello sciopero passando al presidio/dibattito davanti al Comune di Torino ha ancora l’incapacità mentale di porsi fuori dai suoi confini e chiamare a raccolta tutta la Città. Un atteggiamento rinunciatario o voluto? Questo dipende anche, come detto, da chi guida la strategia se è il sindacato partecipativo come la Fim e altri oppure il movimentismo fiommino.

Il sindacato saprà riconquistare un ruolo se porterà sotto lo stesso gazebo tutti gli attori sociali cittadini. I commercianti devono sentirsi partecipi e consapevoli che la grande fabbrica ha ancora un peso e ruolo nell’economia  e il lavoro dipendente è ancora un ceto che contribuisce al valore economico del territorio. Così come gli imprenditori devono uscire da via Vela o via Pianezza, unirsi agli artigiani e mettere forze ed energie in campo non solo per il proprio tornaconto ma agendo sul medio e lungo termine. Tocca al sindacato confederale o, se ne ha la capacità, alla categoria dei metalmeccanici andarli a stanare con la forza delle idee e di una proposta complessiva in cui ognuno riconosca una parte delle sue ragioni.

Certamente è una strategia accollabile anche alle Istituzioni torinesi ma il sindacato, che per sopravvivere pensa più a compilare 730 che alle strategie, può essere il fattore trascinante. Purtroppo vedo tutto molto difficile, anche perché per costruire una strategia ci va una visione condivisa ma se noi non mettiamo il naso oltre le porte Palatine e ripetiamo che Mirafiori chiude e ci va un secondo modello e un milione di baionette, pardon, di auto in Italia, dove andiamo? Siamo alla battuta di Totò: per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare?

Stellantis chiude, adesso, non dieci anni fa, stabilimenti in Polonia, in Austria, negli Stati Uniti e abbiamo l’incognita Germania; certo, investe in Africa ma è industrialmente e socialmente logico e accettabile. Noi in Italia stiamo ancora a discutere di Termini Imerese (qualcuno, liberandosi dai lacci ideologici, ha mai provato a approfondire la questione?), di Grugliasco su cui è noto il perché fu acquisito e poi anche chiuso senza esuberi. Piuttosto dovremmo chiederci perché perdiamo tutte le occasioni di reinsediamento o insediamento di nuove aziende molto strombazzate dalla politica e non realizzate.

Primo punto: l’Italia non sta peggio degli altri Paesi, l’Italia ha un problema di utilizzo impianti più basso degli altri stabilimenti Stellantis e non dipende dalla saturazione produttiva. Il tema non è prettamente sindacale ma territoriale occorre ricreare una cultura del lavoro, del lavoro dipendente della sua professionalità e competenza a cui le aziende devono rispondere con contratti stabili. È uno scambio possibile? Credo di sì, serve formazione ma soprattutto un ambiente sociale in cui non si ritenga il lavoro in fabbrica svilente e poco dignitoso. Se non c’è humus favorevole si rischia che il rilancio, possibile, passi attraverso una massiccia precarietà giovanile devastando ancor di più le nostre periferie urbane.

La politica non traccheggi più sul dove dobbiamo andare. Il territorio si muova compatto su una transizione ecologica e tecnologica compatibile con ambiente, salute, occupazione e mercato indicando l’ibrido come scelta prioritaria di alimentazione e di opzione graduale all’espansione dell’elettrico oltre le quote ridicole presenti nei maggiori Paesi europei.

Sarebbe un primo passo se il sindacato Confederale sennò tocca alle Istituzioni, riuscisse a mettere insieme in una sede neutra, condivisa, tutto il mondo sociale, operativo, intellettuale per definire un Manifesto delle Idee e dell’Azione. Chissà perché a molti sindacalisti in politica piace il campo largo e sui temi del lavoro preferiscono il campo ristretto e egemonico. Per concludere, salveremo Mirafiori quando si riuscirà a scrivere un documento comune senza parlare di Mirafiori.

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