CHI (NON) ABBOCCA

La "Resistenza" delle sardine

Solidarietà, accoglienza, rispetto, diritti, inclusione e... antifascismo. Questi i valori che ispirano la mobilitazione torinese di martedì prossimo. I ricordi famigliari della guerra di Liberazione e l'anelito a diventare i nuovi partigiani contro populismo e sovranismo

Nelle vene delle sardine scorre sangue partigiano. Se per molti la Resistenza rappresenta un simbolo o un ideale a cui ispirarsi, per altri è anche “una questione privata”, per citare un celebre romanzo di Beppe Fenoglio. Scorrendo i post del gruppo Facebook “6000 Sardine Torino”, infatti, ci si può imbattere in più di un iscritto che racconta la lotta partigiana dal punto di vista della sua famiglia. Così cominciano ad affiorare, insieme alle sardine, storie di padri, zii e nonni che hanno combattuto e spesso perso la vita per la libertà.

“Mio papà era un partigiano, si chiamava Ernesto Aimasso ma il suo nome di battaglia era Tormenta”, racconta la figlia Carla, che ha pubblicato un post in cui ricordava suo padre, combattente antifascista attivo in Valsusa. Il racconto sul filo della memoria prosegue: “Nel 1943 un rastrellamento dei fascisti a Collegno obbligò mia nonna a nasconderlo per una settimana nel sottotetto di casa. Fra mille difficoltà riuscirono a farlo allontanare dal paese e poté così aggregarsi a un gruppo partigiano. Non ha mai parlato del suo passato, ma il suo esempio mi accompagna ancora oggi”. La Resistenza è senza confini. “Mentre tuo padre combatteva al nord il mio era impegnato nelle Quattro giornate di Napoli”, scrive Rosario. Insomma, Nord e Sud uniti per gli stessi valori: ieri in montagna contro il nazifascismo, oggi in piazza contro la minaccia populista e sovranista.

Fra le sardine torinesi, Carla non è l'unica ad aver avuto il babbo partigiano e spesso le storie riflettono il dramma di quegli anni. “Mio padre a 16 anni ha combattuto sui monti di Reggio Emilia. Arrestato, è stato torturato e ucciso dalle SS”, è la testimonianza di Pier Paolo, a cui si aggiunge il ricordo di Maria, figlia di un capo partigiano e nipote di un comandante insignito della medaglia d’argento alla memoria. E a proposito dello zio racconta: “Per tutta la vita mio padre si è tormentato per non essere riuscito a salvare il fratello dalla fucilazione”. Lancia poi un monito alle sardine più giovani: “Aiutateci a non dimenticare i nostri cari, che hanno dato l’anima affinché anche questi personaggi odierni avessero la libertà di parlare”. L’appello sembra non cadere nel vuoto quando due giovani iscritte commentano per ricordare i loro avi. “I miei nonni sono stati partigiani nella brigata Titala nel Canavese. I loro nomi di battaglia erano Kira e Boris”, scrive Eloisa, mentre Elena si presenta come “nipote di nonno partigiano e nonna staffetta partigiana”.

Il sangue partigiano sembra quindi tramandarsi di generazione in generazione, e lo spirito della Resistenza – pur cambiando forma – continua a camminare sulle gambe delle generazioni più giovani. Un legame, quello fra partigiani e sardine che spinge Gabriele, membro dell’Anpi, a invitare tutte le sardine ad aderire all’associazione: “Non è un partito ma una memoria storica che deve essere preservata. I nostri padri hanno combattuto per darci questa libertà e se sarà necessario rifaremo lo stesso”. Non sono d’altronde mancati, fin dall’esordio delle sardine, segnali d’intesa e di solidarietà da parte dell’Anpi. La sezione di Ivrea e del Basso Canavese, ad esempio, aveva rotto il silenzio dell’associazionenazionale: “Possiamo affermare che gli slogan usati dalle sardine non possono che trovarci favorevolmente disposti e concordi”.

I soprannomi dei parenti partigiani e i nomi delle varie brigate risuonano uno dopo l’altro come se si stesse tenendo l’appello: “Nome di battaglia Tom, 103a Brigata Garibaldi”, oppure “nome di battaglia Pluto, IV Brigata Garibaldi in Valle Po” e ancora “Renzo, Brigate Garibaldi in valle Varaita”. Si leggono soprannomi dal timbro autoironico come “Pulce” e “Pippo”, ma anche altri che derivano dal dialetto dei luoghi in cui si combatteva, come ad esempio “Cruciun”, il nomignolo del partigiano Andreino. Come spiega il nipote Roberto significa “pezzo di pane”. Il racconto virta nella commozione: “Mio zio fu ucciso nell’aprile 1945, a soli 19 anni”. Ma buon sangue non mente, e Roberto conclude con una nota di speranza: “Siamo in tanti. Bella Ciao”. E martedì, in Piazza Castello, proprio quel canto si alzerà al cielo sopra le sardine.

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