OPERE & OMISSIONI

Appendino torna No Tav

La sindaca soffia sul fuoco delle polemiche dopo le osservazioni della Corte dei Conti Ue sull'opera. Frediani la sbertuccia: "Sveglia non bastano i post". Intanto il Governo gioca con la pelle di centinaia di lavoratori e tiene fermi i cantieri

Un giorno pragmatica e “di governo”, quello dopo intransigente e barricadera. Un po’ Margaret Thatcher un po’ Giovanna d’Arco. Così Chiara Appendino oggi si riscopre No Tav, dopo aver letto la relazione della Corte dei Conti Europea sui presunti ritardi nella realizzazione dell’opera e l’ancor più presunto aumento dei costi. Osservazioni, peraltro, ampiamente smentite – numeri alla mano – da Telt nel silenzio di un governo che i cantieri li vuole sbloccare più a parole che nei fatti.

La sindaca di Torino, con buona dose di cinismo si definisce “non sorpresa” di fronte alle considerazioni dei magistrati contabili dell’Ue che anzi “ribadisce quello che noi diciamo da anni”. La tesi contenuta in quella relazione, dunque “per quello che riguarda me e la mia forza politica non è una novità”. Strizzato l’occhio ai No Tav, però, torna subito a vestire i panni di Ponzio Pilato: “Detto ciò – è la chiosa – il tema non spetta alla Città di Torino, c’è stato un voto parlamentare, ma noi guardiamo alle opere utili come la metropolitana”. Questione archiviata? Più o meno. Anche perché c’è chi nel Movimento 5 stelle resta ancora sinceramente contrario alla Torino-Lione, come la consigliera regionale Francesca Frediani, che infatti prova a stanare la “sua” sindaca: “Si continua a non capire che non bastano i post. Sveglia! È il momento di battere i pugni sul tavolo! Ma forte!” attacca Frediani. “Ora bisogna pretendere una posizione diversa dal Governo rispetto ad un’opera che è stata nuovamente bocciata. Un’opera inutile e dannosa – prosegue l’esponente di Palazzo Lascaris –. E smettiamola di guardarci la punta dei piedi dicendo che non compete a noi o non abbiamo i numeri o ancora noi pensiamo alle opere utili alle nostre città. Stop Tav subito”.

La stessa Frediani, assieme ad altri grillini torinesi, già aveva avuto modo di polemizzare con Appendino un paio di settimane fa quando la sindaca aveva definito la Tav “una battaglia persa”: “Chiara fammi un favore – aveva replicato – candidati con il Pd, senza il Pd, fai 3, 4, 1000 mandati... fa’ il sindaco a vita... fa’ quello che vuoi. Ma non dire più nulla sul Tav. Sono certa che non avrai problemi a farlo”. In fondo, da quando si è insediata al piano nobile di Palazzo Civico, alla prima cittadina è sempre stata rinfacciata, da parte dei duri e puri del suo partito, una certa arrendevolezza sul tema della Torino-Lione, quasi il suo "No" fosse una questione di etichetta più che di sostanza. Basti pensare che c'era la sua firma, assieme a quella dell'allora presidente della Regione Sergio Chiamparino, sul "Patto per Torino". Era il 2016, in quel documento erano presenti una serie di opere necessarie al rilancio della regione, tra cui pure qualcune propedeutiche alla Tav. Certo, portò il Comune fuori dall'Osservatorio, ma ben sapendo della valenza puramente simbolica di quel gesto che non bastò a farle guadagnare la fiducia del movimento No Tav.

Nel merito il direttore generale di Telt Mario Virano ha già spiegato che l’incremento dell’85% dei costi evidenziato dalla Corte dei Conti Ue si riferisce a un vecchio studio preliminare effettuato da Alpetunnel, negli anni Novanta, prima della decisione di procedere con il progetto selezionato che ha un costo certificato e rimasto tale di 8,3 miliardi. “Quello studio preliminare – ha chiarito Virano – riguardava una galleria di base con una sola canna, anziché le due attuali diventate obbligatorie per le normative di sicurezza”.

Il vero problema resta semmai il tentativo del governo di togliere l’ossigeno all’opera attraverso la burocrazia. Come spiega bene sul Foglio Andrea Giuricin, docente universitario ed esperto di economia dei trasporti, la Corte dei Conti Ue non dice che l’opera è inutile ma che gli extracosti rispetto al progetto originario sono dovuti ai ritardi causati dall’incapacità politica di realizzare le grandi opere. Insomma, la bocciatura è per l’Italia non per la Tav, giacché è evidente che se ci vogliono trent'anni per iniziare un'infrastruttura di cui si parla dagli anni Novanta, intanto le norme cambiano, il contesto muta e gli adeguamenti costano.

A dimostrazione di questa tesi, si tenga conto che oggi i cantieri sono di nuovo fermi in attesa di un’autorizzazione del ministero dell’Ambiente che, accidentalmente, continua a non arrivare. Colpa della Tav? Da settimane sindacati e gli operai chiedono di sbloccare la situazione, Confindustria sottolinea i rischi di questa ennesima impasse per le aziende coinvolte. Certo che, di questo passo, si accumulano ritardi. E per meri calcoli politici si gioca sulla pelle di tanti lavoratori.

print_icon