ALTA TENSIONE

No Tav, violenza "senza morale"

La Cassazione non concede le attenuanti agli attivisti protagonisti degli scontri del 2020 contro le forze dell'ordine. Respinto il ricorso e pene confermate. Per la Corte suprema non vi sono giustificazioni di valore sociale o etico per simili comportamenti

Gli atti di violenza commessi dai No Tav nel corso delle manifestazioni contro la costruzione della nuova ferrovia Torino-Lione in Valle di Susa non meritano l’attenuante del “particolare valore morale o sociale” della protesta. Lo ha ribadito la Cassazione nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso presentato da cinque attivisti che nel 2020 erano stati condannati in appello, a Torino, per i reati di violenza e minaccia a pubblico ufficiale.

Il processo riguardava degli scontri con le forze di polizia (cui presero parte un centinaio di persone) che presidiavano il cantiere, con lancio di “oggetti contundenti e materiale pirico” contro gli agenti e le recinzioni. In uno dei ricorsi, la difesa aveva sostenuto che “il movimento No Tav raccoglie ampio consenso nella società civile ed in ampi settori culturali” e che si deve escludere che la “maggioranza parlamentare, peraltro formata da soggetti eletti con una legge elettorale dichiarata costituzionalmente illegittima, sia rappresentativa del sentimento diffuso dei cittadini”. Insomma, che può mai contare un parlamento quando in una valle un gruppo di cittadini la pensa in modo diverso?

Per questa ragione era stata richiesta l’applicazione dell’attenuante (con sconto di pena). La Cassazione è stata di un altro avviso: i motivi di valore sociale o morale sono solo quelli su cui “si registra un generale consenso” e non è sufficiente “l’intima convinzione, ancorché da altri condivisa, di perseguire un fine moralmente apprezzabile”.

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